31 luglio 2009

BOJANA BRATIC


L’amica poetessa Bojana Bratic mi ha inviato questa sua bellissima poesia che con piacere qui pubblico. Ciao Boba! Antonio.






Volevo scriverti una lettera


Volevo scriverti una lettera

ma non l’ho scritta

e non la scriverò forse mai

la porterò dentro l’anima


Scrivere di qualcosa che semplicemente pensavo

Dire qualcosa che una volta si poteva dire

Afferrare l’attimo che non c’era più

Ed era tutta un’assurdità

Imperdonabile

Perché non corrispondeva alla verità.


Ma ricordare gli alberi rispecchiati dal fiume,

la casetta sull’albero costruita con le tue mani,

il girovagare per la città immensa

noi curiosi di ogni angolo

e di racconti incessanti

noncuranti e leggeri

felici tra i sorrisi, ammirati per la felicità

scambiavamo i sogni e credevamo

che ogni giorno

si specchiasse con naturalezza nel fiume.


Non parlarmi di odio oggi

Non parlarmi di uccisioni

Non ricordarmi di un dio che non c’è

Che ci distrugge orizzonti

Non mischiare i fiumi con le chimere

Non credere nei confini e nelle ingiustizie

di gente meschina

stupida

da me lontana


Liberami dai ricordi


Richiamare cieli non è più per noi

Salutarci con tenerezza non è più per noi

I nostri passi non segnano le tracce parallele

come una volta

i nostri aliti

tristemente lontani

non mischieranno la mia anima alla tua

le nostre abitazioni si ritrovano in due poli

opposti


Non ti scriverò, sai, quella lettera che né tu né io

desideriamo che sia scritta

perdiamoci

di nuovo negli abissi dell’aria

del tempo

della vita


15. XII. 2008. Modena

© Bojana Bratić

30 luglio 2009

OMAGGIO AL POETA PIETRO MASTRI



Pietro Mastri, pseudonimo di Pirro Masetti, nato a Firenze nel 1868 e qui morto nel 1932, è stato un delicato poeta italiano molto attento alle tradizioni e all’ascolto della natura. Le sue poesie risentono dell’influenza di Giovanni Pascoli. Di Pietro Mastri vi propongo questa delicata poesia estiva. (scorcio notturno di Vietri sul mare)



Bella l’immagine delle stelle silenziose che vagano senza posa al di sopra della terra simili ad estive lucciole, esse sembrano piegate verso terra, in quel lembo di cielo vagante, per il peso dei chicchi di grano maturo color dell’oro. E i grilli continuano a cantare fra le zolle… e un mare argentato dall’azzurro mare di stelle… è l’estate!



LUCCIOLE


O tacite stelle, che a frotte
vagate quaggiù senza fine,
o stelle piccine e vicine,
non sente la messe che dorme
quel palpito fitto, uniforme
sfiorare le spighe recline?
Al trillo del tremulo trillo,
che a notte ogni zolla produce,
diffonde il suo ritmo tranquillo
quel palpito d'ali e di luce.

Ed ecco l’estate.


29 luglio 2009

L'ARTE DI SCRIVERE IN VERSI: UNA MIA OPINIONE


Ho ritrovato questo mio scritto di qualche anno fa negli archivi del mio computer, forse era una risposta mai spedita; ma ora, approfittando della calda deconcentrazione del periodo estivo, qui la pongo, trovandola tuttora attualissima e, come tutte le risposte, giustamente dovuta. Sovente mi è capitato di valutare opere letterarie d’ogni genere. Spesso, quando si valuta una poesia di un autore esordiente o quasi, si corre il rischio, anche da parte di persone esperte del “mestiere”, di cedere al desiderio di voler forzatamente consigliare, o meglio, suggerire all’autore delle proprie regole di scrittura, spostando, in tal modo, il significato e l’intrinseco valore dell’opera verso una specie di forma correttiva, con conseguenti imprecisioni nella valutazione dell’opera.
Questo non riguarda ovviamente eventuali errori ortografici che si possono trovare lungo il cammino, bensì esclusivamente l’imposizione di modalità da seguire nel corso della composizione, del tipo:
1) non si usino parole difficili per inventare una sorta di “effetti speciali”;

2) si eviti la punteggiatura all’interno del verso sostituendola con un “andar da capo”;

3) si cerchi di scrivere il più semplice possibile.

Io, personalmente, non condivido in alcun modo queste affermazioni, sia per esperienza personale, ma soprattutto perché la lettura di grandi poeti le smentiscono in maniera decisa, da Dante fino ad arrivare ai nostri tempi, ad Ungaretti, Montale, Quasimodo, Pasolini, Gatto, Sinisgalli…
Ebbene, le poesie di questi poeti, anche di colui definito il “Sommo”, posseggono “parole difficili” che sono funzionali alla poesia stessa e non considerabili “effetti speciali”.
All’interno dei loro versi c’è ricchezza di punteggiatura, persino di punti interrogativi ed esclamativi.
Le loro poesie non sono affatto semplici, giacché, se lo fossero, si mostrerebbero odiosamente edulcorate e banali.
Ciò non significa che una poesia debba essere forzatamente difficile e incomprensibile, dal momento che anche una poesia apparentemente semplice può includere una complessità di contenuti (mi viene in mente Giovanni Pascoli).
La poesia, insomma, è una creazione del tutto soggettiva, scaturita da animi e sentimenti diversi, per cui essa ne risente anche strutturalmente.
A difesa di facili fraintendimenti, è mia premura affermare, in ogni caso, un buon uso - mai un abuso - di quanto sopra descritto.
L’intento di un poeta è soprattutto quello di trasmettere, attraverso la poesia, quel “quid” che è l’essenza del sentimento espresso, lasciando il resto alla spiegazione dei critici e alla consultazione di un buon vocabolario.

(Ma questa è solo una mia semplice considerazione).
Antonio Ragone

18 luglio 2009

ONDADIGRANO

È stato con intenso piacere che ho chiesto alla mia carissima amica, sensibile poetessa, che si firma con il delicato e significativo pseudonimo Ondadigrano, di collaborare al mio blog che si interessa dell’arte discreta e vigorosa della Poesia. Di lei parla se stessa, e non vi è opportunità d’aggiungere altro.
Solo grazie. (Antonio Ragone)


Nel nick che ho scelto, la mia anima, l’amore per la natura, per tutto quello che c’è di più autentico, vero, essenziale: dentro e fuori di noi. Ho radici contadine, e ogni anno, vedere nei campi il grano maturo, è come assistere al rinnovarsi di un miracolo che apre il cuore. Ed è un tornare indietro in un tempo senza tempo, allo stupore, alla gratitudine di chi vedeva nelle messi il divino. Dalla natura al mito , mi interesso di miti, simboli, religioni e culture antiche, alla ricerca del sacro femminile e del sacro in genere come valori irrinunciabili in questo momento storico così tormentato. Laureata in filosofia, mi sono occupata di didattica museale e ho insegnato lettere nella scuola media.
Ho accettato con piacere la proposta di Antonio, di collaborare al suo blog. Ci siamo conosciuti infatti in occasione di una manifestazione in cui entrambi presentavamo le nostre poesie.
Nell’accettare mi sono anche posta questa domanda: cos’è per me la poesia? Finora ho sempre scritto per me, in momenti particolari, intensi, in cui qualcosa irrompe da dentro, vuole uscire. Parole che a rileggere in seguito sono tue nel profondo, ma non sembrano neanche scritte da te. Poi un bel giorno ho deciso di inviare alcuni scritti ad un concorso… e voilà… sono stati apprezzati. Cos’è dunque per me la poesia? Sicuramente è dare voce ad uno spazio intenso e profondo, o ritrovare nelle parole altrui il mio spazio, ma la domanda che spesso mi pongo, è quanto questa espressione può dare all’esterno, insomma non si rischia l’autoreferenzialità?
Ecco, da questo spazio mi piacerebbe quindi anche suscitare uno scambio di idee, commenti, riflessioni.
Attendo, e propongo una mia poesia scritta in un periodo “cocente” della mia vita, quando si azzera e bisogna ripartire facendo tesoro di tutto quanto possiamo disporre.

PROFUMI DEL TEMPO/PROFUMI DELL'ANIMA

Nelle strade di sera
Il vento di maggio
Porta
Gli odori del tempo

Silenziosi attraversano le stagioni
Della mia vita

Come gocce di pioggia
Riflettono
Il colore
Dell'attesa
Della gioia
Del dolore feroce
Della calma serena.

Li sento
Arcobaleno del cuore
In questa
Ignota stagione


(Maggio 2003)
La poesia è stata pubblicata dall’editore Akkuaria nell’antologia del premio letterario “I veli della luna”.

Ondadigrano

13 luglio 2009

ANTONIO RAGONE: SOPRAVVISSUTA BARCA

Voglio proporvi questa mia poesia tratta dal mio nuovo libro “I passi sul sentiero sconosciuto”.
Sono particolarmente affezionato a questa poesia scritta verso la fine di gennaio di quest’anno.
Io son fiero d’essere sempre sopravvissuto alle mie tempeste, lontane e recenti, e quando un giorno mi fermassi, stanco di lottare, sarà perché l’avrò voluto solo io se non chi, dopo tanta veglia, alfine mi farà dormire.



SOPRAVVISSUTA BARCA

Allinea a destra


Nel turbine dell’onde il marinaio

quando all’approdo giunge

è solo a trascinare

in secca la sua sopravvissuta

barca alla tormenta.

Cura da solo

qualche pungente ferita

bruciore d’acqua salata.


Antonio Ragone

10 luglio 2009

EDOARDO CILLARI, MIO CARISSIMO AMICO, SI DESCRIVE.


Partendo dal presupposto che è sempre cosa difficile, per non dire ingrata, scrivere qualcosa di interessante su se stessi, beh, eccomi qui: sono Edoardo, ho 45 anni, vengo da Salerno e, come particolarità… ultradecennale della mia personalità… parlo serbo-croato e sono “innamorato” dei Paesi della ex Jugoslavia. Ogniqualvolta si viene a scoprire questa mia passione, immancabili sono le domande che mi vengono rivolte: da quando sei “contagiato” da questa passione? Come mai proprio la ex-Jugoslavia? Come mai proprio la lingua serbo-croata? Devo dire che quando ho provato a rispondere ho sempre visto negli occhi dell’interlocutore un moto di incredulità, quasi che quello che avevo appena riferito risultasse inverosimile da credere…ma tant’è, è andata proprio come sto per raccontare: dunque, nel lontano 1976, in epoca di riforma RAI e di liberalizzazione dell’etere, cominciarono a vedersi nella mia città anche le TV “estere”, e tra queste Capodistria, che, di regola, trasmetteva notiziari e partite di calcio e pallacanestro della ex Jugoslavia...non c’è bisogno di dire che, specie il sabato pomeriggio, ero letteralmente incollato al video; quei nomi di sportivi, le località da dove venivano trasmesse le partite, le divagazioni dei telecronisti avevano su di me un fascino magnetico... per farla breve, incominciai ad interessarmi alla Jugoslavia (allora ancora unita) non solo dal punto di vista sportivo, ma anche, se non soprattutto, da quello linguistico e culturale, e più mi addentravo nella materia, più la mia passione aumentava... la ricerca (per quanto limitata nel tempo e nelle possibilità, dovevo pure studiare per il liceo, all’epoca…) si arricchiva via via di aspetti che non avrei mai pensato di dover prendere in considerazione, come quello culinario, quello architettonico, la particolare organizzazione politico-sociale della Jugoslavia, paese faro del movimento dei non allineati etc, ma era la lingua che parlavano i ¾ della popolazione (perché in Slovenia si parlava, e si parla, sloveno ed in Macedonia il macedone) che divenne il fulcro del mio interesse. Dovettero passare alcuni anni e poi, nel 1985, coi francescani di Salerno, per la prima volta feci un viaggio in quelle terre... andai a Medjugorie, in Bosnia Erzegovina, e non persi l’occasione di comprarmi i vocabolari, riviste sportive (cui mi abbonai prontamente) e così, con qualche anno di studio… matto e disperatissimo, per parafrasare il Leopardi (più matto, se ci penso bene...), ed alcuni viaggi (in Serbia, a Belgrado e Novi Sad, e in Croazia, a Zagabria e Spalato, in Bosnia a Sarajevo, in Erzegovina a Mostar) sono riuscito a raggiungere una più che discreta (a detta delle tantissime persone madrelingua con cui ho conversato, ovviamente) conoscenza della lingua, e sono diventato traduttore- interprete di serbo-croato di professione, presso il Tribunale e la Camera di Commercio della mia città. Nel frattempo, come tutti saprete, la Jugoslavia unita si è sfaldata, ed ora sono sorte tante Repubbliche, ma ciò non ha scalfito il mio amore ed il mio interesse sincero per quelle terre. Con particolare soddisfazione, l’anno scorso, ho raccolto l’invito della pianista e poetessa Ivana Marija Vidovic e mi sono recato a Dubrovnik e Cavtat per il post festum dell’Epidaurus Festival: non ero mai stato in quei luoghi croati che, a ragione, sono considerati la perla dell’Adriatico, e devo dire che si è trattato di un viaggio bellissimo, non solo per la bellezza dei luoghi che abbiamo visitato, ma anche per il fatto di aver conosciuto, proprio in questa circostanza, tra gli altri, Antonio e sua moglie Anna, con i quali si è stabilito subito un feeling che ha reso particolarmente fruttuosa, sotto tutti i punti di vista, la trasferta croata. Potrei dilungarmi oltre, parlare del mare cristallino di Croazia che orla splendide cittadine dall’inequivocabile impronta veneziana, (e Dubrovnik, in questo, è la perla insuperabile) della Sarajevo in cui, nella stessa via, è possibile vedere ed ammirare monumenti, moschee e chiese delle più diverse confessioni che testimoniano la variegatezza culturale e religiosa di questa splendida città, del rigoglio meraviglioso della pianura immensa che si trova nella Vojvodina serba, vero e proprio granaio dell’Europa sud orientale, della Belgrado cosmopolita che è stata e a mio parere è ancora il vero fulcro strategico di quest’area di Europa. Ma non sarei capace di dire di più e meglio delle note che si trovano in una qualsiasi guida turistica: il mio consiglio è andare in queste terre, viverne la vivacità, godere dei più vari sapori genuini della cucina del posto, ammirare i molteplici elementi architettonici che queste terre offrono e fare amicizia con la gente del luogo, magari non sarete tentati, come è successo per il sottoscritto, ad imparare la lingua, e vi capisco benissimo, ma vi garantisco che è un’esperienza che segna nel profondo è che vale la pena vivere. Se mai poi doveste aver bisogno di un interprete e/o traduttore, beh, sapete a chi rivolgervi, no?

(Edoardo Cillari)


Edo Cillari è un ottimo interprete e traduttore di lingua serbo-croata, ha tradotto in italiano le poesie di Ivana Marija Vidovic, e, in collaborazione con Ivana Marija Vidovic e Bojana Bratic, ha tradotto in croato per il post festum dell'Epidaurus Festival di Dubrovnik-Cavtat, molte nostre poesie. Per contatti con Edoardo Cillari, scrivere all'e-mail di questo blog. (Antonio Ragone)

6 luglio 2009

OMAGGIO AL POETA UMBERTO SABA

Umberto Saba nacque a Trieste il 9 marzo1883 da Rachel Coen (ebrea) e Ugo Poli (cattolico). Saba già dalla sua prima infanzia dovette affrontare delle prove dure, infatti, il matrimonio dei suoi genitori andò in frantumi quasi subito, e il poeta fu mandato a vivere presso una contadina slovena, l’amatissima Peppa Sabàz, dalla quale attinse il cognome “Saba”. La sua carriera scolastica fu molto breve, perciò la sua formazione avvenne tramite le cosiddette “letture d’infanzia”. Nel 1908 sposò Carolina Wolfler, che fu una figura importantissima nella sua vita. Nel 1910, Saba rilevò a Trieste una libreria che esiste ancora oggi. Nel 1948, in seguito alla morte della moglie, Saba fu ricoverato presso una clinica, in quanto affetto da nevrosi. Umberto Saba morì a Gorizia il 25 agosto 1957. Di lui voglio proporvi la poesia "Ulisse".

Il titolo Ulisse, pur rimandando alla tradizione classica, è in realtà, la metafora della vita del poeta, una vita dura e difficile. Da ragazzo Saba è stato per un certo periodo mozzo a bordo di piccole navi mercantili che facevano rotta lungo le coste della Dalmazia, regione costiera dell’attuale Croazia. L'immagine di rocce, acqua, scogli e luce, trasforma improvvisamente la descrizione in un simbolo dell'adolescenza, età scivolosa, in quanto difficile e indefinibile, ma anche bella come smeraldo; così la notte, quando solitamente il vento soffia da terra, le barche si spostano rapidamente verso il largo per evitare il pericolo degli scogli. Il porto con le sue luci è un'insita promessa di tranquillità che attrae gli altri, non il poeta, perché pur nelle sventure c’è spazio per l’amore della vita dolorosa che spinge il poeta ad esplorare il misterioso mare dell’esistenza. L'ambito geografico in cui si vive o si è vissuto diviene qui metafora di una dimensione esistenziale, una terra di nessuno, un mare evitabile per la sua pericolosità ma anche timorosamente affascinante ed esplorabile per tutto ciò che non si conosce. (Antonio Ragone)


ULISSE

Nella mia giovanezza ho navigato
lungo le coste dalmate. Isolotti
A fior d’onda emergevano, ove raro
un uccello sostava intento a prede,
coperti d’alghe, scivolosi, al sole
belli come smeraldi. Quando l’alta
marea e la notte li annullava, vele
sottovento sbandavano più al largo,
per fuggirne l’insidia. Oggi il mio regno
è quella terra di nessuno. Il porto
accende ad altri i suoi lumi; me al largo
sospinge ancora il non domato spirito,
e della vita il doloroso amore.
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