13 settembre 2009

RIFLETTENDO... DI ANTONIO RAGONE

“Ed io non voglio più essere io!

Non più l'esteta gelido, il sofista,

ma vivere nel tuo borgo natio,

ma vivere alla piccola conquista

mercanteggiando placido, in oblio

come tuo padre, come il farmacista...


Ed io non voglio più essere io!”.

Questa strofa è tratta da “La signorina Felicita ovvero la Felicità” di Guido Gozzano, il quale naturalmente merita un omaggio personale, pertanto questi versi vengono citati solo perché funzionali a questa riflessione. Sono versi che emanano uno stato d’animo di rimpianti e d’amarezze con evidenti riferimenti letterari ma soprattutto umani. E io stamattina riflettevo proprio su questo, sui rimpianti e le amarezze che spesso fanno sovrapporre le emozioni dentro di noi, riflettevo come queste impressioni, anche se turbano, ci fanno capire che si è realmente vissuto, mettendosi in gioco ogni giorno, confrontandosi con i propri sentimenti, le ansie, le inquietudini e, perché no, le soddisfazioni. Solo chi ha preferito portare avanti la sua vita senza viverla, ecco, questo non ha né amarezze e né rimpianti. Nel mio libro “La Passione degli Apostoli” Ed. Akkuaria 2008, oltre a sostenere nell’introduzione che “mi sono molto dedicato alla lettura e allo studio della Bibbia - che io considero il capolavoro letterario di tutti i tempi, e per tale motivo, meritevole d’esser letta da tutti - alla ricerca del supremo senso della sofferenza umana così presente nelle sue pagine” scrivo altresì che “è in questa vita che c’è bisogno di consolazione umana, basta pur solo una pacca sulla spalla che sia di incoraggiamento nei momenti del bisogno, invece della ipocrita solidarietà che incoerentemente si manifesta puntualmente nel momento della morte proprio da parte di quelle persone che in vita hanno negato anche una sola parola di conforto ed incitamento”. Nel libro vetero- testamentario del profeta Isaia è scritto: “Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste. È vicino chi mi rende giustizia”. Con un sottile raffronto, viene da pensare all’indifferenza di tanta gente che, pur conoscendo una particolare condizione di sofferenza, s’appella, per eventuali mancati interventi, facendoli passare per degne giustificazioni come “lo sapevo, ma non ho fatto nulla per discrezione”. In poesia tanti sono i modi di pensarla e di scriverla, tutti validi – si è già detto nei post precedenti – purché o si è poeti o no, e perché le poesie siano frutto della sincerità intellettuale dell’autore. Non esistono poesie antiche o moderne, poesie semplici o difficili, poesie pessimistiche o ottimistiche, esiste la Poesia, ovvero la parola resa sublime dalla penna del poeta. Certo di poesia non si tratta quando “cuore fa rima con amore e i prati sono in fiore” se queste parole non vengono esaltate da elementi essenziali, come avviene ad esempio nella musica lirica dove versi banali come “Oh mio babbino caro” dell’opera “Gianni Schicchi” emozionano ed esaltano l’animo umano per l’altitudine artistica della musica di Giacomo Puccini. Ciò tuttavia non esclude che la poesia “cuore, amore, fiore” possa sublimarsi, anzi può essere una valore aggiunto se i versi vengono elevati al ruolo di poesia dall’essenziale esperienza culturale e umana maturata dal poeta.

1 commento:

  1. In questo delicatissimo poemetto Gozzano rimpiange qualcosa di già vissuto quando questo qualcosa è "immunizzato"da una sua reale eventualità.
    Una volta terminato l'idillio con la Signorina Felicita,simbolo della felicità,il poeta la rievoca per la prevedibile monotonia dei gesti che la sottraggono allo scorrere del tempo.
    Ora che il poeta non torna più da lei,lui può ora riviverla nella sterilizzazione della cosa morta,irrecuperabile.
    Il tempo di Felicita è ormai soltanto quello del calendario,che ne segnala l'onomastico.

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