27 ottobre 2009

RITORNO ALLA TERRA DEI PADRI E DELLE MADRI: UNA POESIA DI GIOVANNI CENA INVIATA DA TERESA

Invio questa poesia che ho studiato anni fa alle scuole medie, mi è rimasta impressa. Ero molto affezionata alla mia mamma che ora purtroppo non c’è più. Quando penso a lei, che riposa lontano da dove io vivo, vado a rileggermi questa semplice e delicata poesia. Così mi sembra di ritornare a quei tempi e di rivedere la mia vecchia casa. Teresa.


PACE D’OTTOBRE

Mamma, questa d'ottobre così gaia
giornata, sembra d'una primavera
ultima. Senti? Rondinelle a schiera
empiono di bisbigli la grondaia.

Senti? Tutto è brusìo. Biondo nell'aia
il sol, tiepido ancora. Ma l'intera
famiglia è qui d'intorno, e prega e spera
che dalla casa il reo morbo scompaia.

Oggi si spilla il vino e si ripone
il grano turco; a noi il buon Signore
nulla di queste cose diede, mamma.

Pur siamo lieti; poi che il buon Signore
ancor ci appresta molte cose buone:
la tua salute, il tuo sorriso, mamma.

Giovanni Cena
(Montanaro Canavese, in provincia di Torino, 12 gennaio 1870 - Roma 7 dicembre 1917)

23 ottobre 2009

RITORNO ALLA TERRA DEI PADRI E DELLE MADRI: CONTRIBUTO INVIATO DA LUCIANA


A proposito di affetti, vorrei qui proporre una poesia: "Casa di mia gente" di quel grande Giuseppe Villaroel, il quale è stato già a suo tempo menzionato in questo blog (Luciana).




CASA DI MIA GENTE


Sempre ritorno fra le tue pareti, come un rifugio, o casa di mia gente!
Nessun albergo mai, nessun ostello, per varie plaghe, fu più seducente
del tuo silenzio ove, dal lungo esilio, vengo, a sanarmi d'ogni mia ferita,
in colloquio coi morti che mi amarono perché nacque da loro la mia vita.
Tu sola ridi, o casa di mia gente; tu sola resti, in mezzo alla rovina,
di tutti i sogni miei tristi e mendaci, nell'ora di mia vita che declina!
Tu sola vieni, o casa dell'infanzia, al mio ricordo ed alla mia speranza,
e, nel mio folle errare senza quiete, questa sola dolcezza oggi mi avanza.
Tornerò bimbo sulle tue terrazze; guarderò nelle notti, le tue stelle
tremare sulle torri delle chiese; ci sarà il canto delle mie sorelle,
ci sarà l'ombra di mia madre e il grido del vecchio gallo, a l'alba nei cortili
e dalle tue finestre, nell'azzurro, vedrò spuntare i rinascenti aprili.
E sarà la mia gioia e la mia pace: l'unica gioia che può dar mondo,
l'unica pace che può dar la vita: vivere sotto il bel ciel giocondo
di nostra terra, quello che ci fulse negli occhi quando noi fummo creati
e morire così, serenamente, accanto ai nostri morti e ai nostri nati.


Giuseppe Villaroel (Catania, 1889 - Roma, 1965)

15 ottobre 2009

ANTONIO RAGONE: L’ALLUVIONE DI SALERNO DEL 1954

La pioggia iniziò a cadere cautamente dal primo pomeriggio, poi verso la prima sera divenne più intensa ed abbondante, assumendo nel corso ininterrotto della notte le caratteristiche di un uragano. I piccoli fiumi Bonea, Cavaiola e Reginna si gonfiarono e scatenarono furiosamente la loro rabbia. Era la notte tra il 25 e il 26 ottobre del 1954, il tragico alluvione colpì, oltre che la zona settentrionale di Salerno, la cittadina di Cava de’ Tirreni e alcuni paesi della costiera amalfitana, Vietri sul mare, Maiori, Minori, Tramonti. Quando la furia si placò non c’era che devastazione, alcune piccole frazioni sui monti andarono completamente distrutte, case, persone e animali trascinati in mare. I morti furono 318, 250 i feriti gravemente e 5.500 abitanti persero completamente la loro casa. Voglio ricordare la drammatica notte, ormai prossima al triste anniversario, con un breve brano tratto dal libro “Dolore per la mia terra” di un grande poeta di quella “nostra terra” dei padri e delle madri, Alfonso Gatto, e con una mia poesia scritta qualche anno fa.

"Una capra morta accanto a un bambino di pochi mesi compone l'immagine finale del viaggio nella mia povera terra. È stata trovata nelle ultime ore a Molina di Vietri. E l'artigiano che alle porte della piccola frazione quasi distrutta continua a fabbricare lumini di cera può essere il segno umile in cui tutti accettano di rivivere: piccole luci sulla terra e sul mare, quasi uomini che mi somigliano, luci di pesca e di tombe."
(Alfonso Gatto, da "Dolore per la mia terra")

NOTTE D’OTTOBRE ‘54
Eravamo sicuri che non ci fosse
più nessuno, alla baia , al di là del piccolo
promontorio, ove, da trafitti secoli, rassegnata,
s’adagia l’antica torre di salsedine,
incorporata alla scogliera d’inerpicanti
agavi e carrubi e fichidindia.
Il mare, alfine, s’era placato, così a vederlo
era un disteso pacato campo di macerie,
là traslate da un vento che nessuno aveva
percepito. E quanta pace, ora, infondeva
e sotteso turbamento!
Ad ogni remata, uno squarcio di baia emergeva,
uno ad uno, piccoli fotogrammi di ansia,
e infine, intera e muta, la Desolazione.
Approdammo, indi lo sbarco sulla battigia
ove, onda su onda, tremolava il mare
sui grossi gambali marroni come il mare.
Le barche che erano state là ricoverate, credendo
sicura la notte, erano frattaglie di palanche,
miste ad altre là sbattute da lontano,
vomitate da un mare sofferente e disturbato.
Il sole, incoerente, era al di là degli ammassi montuosi
dei nembi, che, ora minacciosi o calmi, si diradavano;
e degli uomini, pescatori che ambivano salvare
la propria sopravvivenza non sopravvissero.
Il mare s’era liberato dei suoi ripudi ed aveva
inghiottito, simile a vorace leviatan, quei pescatori
che eppure lo amavano con affascinante paura.
Insaziabile, il Mare, volle trattenersi, come
terrificante pegno, un fanciullo, che da allora
possiede prigioniero nei suoi profondi abissi misteriosi.

(Antonio Ragone, da "L'isola nascosta" Edizioni Akkuaria 2007; poi in "Riverberi vietresi" Edizioni Akkuaria 2012)

L’immagine si riferisce alla copertina che ”La Domenica del Corriere” dedicò al doloroso evento.

10 ottobre 2009

ADRIANA PASSARI (ondadigrano): LA "TERRA" DI CESARE PAVESE

In Pavese la Terra è parte integrante della sua poesia. Fa dire al protagonista di un suo racconto "La Langa":
“Io ce l'avevo nella memoria tutto quanto, ero io stesso il mio paese: bastava che chiudessi gli occhi e mi raccogliessi... per sentire che il mio sangue, le mie ossa, il mio respiro, tutto era fatto di quella sostanza e oltre me e quella terra non esisteva nulla".
Qui vorrei proporre la Casa: senza commenti: le parole entrano e si depositano direttamente nel cuore.
(Adriana Passari/ondadigrano)


LA CASA

L’uomo solo ascolta la voce calma
Con lo sguardo socchiuso, quasi un respiro
Gli alitasse sul volto, un respiro amico
Che risale, incredibile, dal tempo andato.

L’uomo solo ascolta la voce antica
Che i suoi padri, nei tempi, hanno udita,
chiara e raccolta, una voce che come il verde
degli stagni e dei colli incupisce a sera.

L’uomo solo conosce una voce d’ombra,
carezzante, che sgorga nei toni calmi
di una polla segreta: la beve intento,
occhi chiusi, e non pare che l’abbia accanto.

È la voce che un giorno ha fermato il padre
Di suo padre e ciascuno del sangue morto.
Una voce di donna segreta
sulla soglia di casa, al cadere del buio.

Cesare Pavese nacque a Santo Stefano Belbo, provincia di Cuneo il 9 settembre 1908. Morì suicida a Torino il 27 agosto 1950.

6 ottobre 2009

RITORNO ALLA TERRA DEI PADRI E DELLE MADRI: LUCIANO LUISI


Il ritorno alla terra dei padri e delle madri non è solo un episodio fisico. La voce dei poeti fin dalle sue origini ha sempre celebrato questo evento come un inno corale di straordinaria intensità. Penso che capiti a tutti, in queste circostanze, di sentirsi l’animo turbare mentre percorriamo quelle stesse vie di noi fanciulli, ora mutate, o assistiamo al riaffiorare di volti andati via. È una inquietudine di domande rimaste sempre nascoste nella memoria di lontane tenerezze, domande incompiute, per sempre, per sempre rimaste senza risposte. Voglio qui proporre una bella poesia del poeta Luciano Luisi, “A mio padre” che ad ogni lettura suscita in me un’intima, profonda emozione, giacché, similarmente, ho vissuto e assistito all’agonia di mio padre, scoprendo, oggi, che in molte delle mie poesie, quasi con mia sorpresa, c’è lui.
È anche questo un ritorno alla terra dei padri e delle madri. (Antonio Ragone)


A MIO PADRE

Ora sei calmo, finalmente, hai pace.
So che sei morto, non ho più paura
che tu debba morire, non ho più
paura del tuo cupo, lungo rantolo
che dilatava i muri della stanza,
del tuo respiro che chiedeva aiuto
al fiato del mio petto,
del grido dei tuoi occhi a supplicarmi.

Sono stanco, lo sai. Non ho paura
ormai d’addormentarmi,
di piegare la testa sul tuo letto,
di mescolare alla tua larga quiete
disumana, il mio sonno affamato.
E non ho più l’angoscia
d’esserti inutile come un nemico:
so che sei morto. hai pace,
è tornato il silenzio.


Luciano Luisi (Livorno, 13 marzo 1924 - Roma, 29 maggio 2021) è stato un poeta, scrittore e giornalista.

2 ottobre 2009

ANTONIO RAGONE: ERA UN NUOVO INVERNO (iniziando il tema proposto da Adriana)

Vi prego di leggere attentamente, qui di seguito, il post di Adriana Passari, sollecitando l'attenzione di quanti fossero interessati a questo dibattito interessante.
ERA UN NUOVO INVERNO


Era
la pioggia prima
che
forte batteva
sull’appena comprato trench
ricordo grigio di plastica
insignificante,

mentre
tranquillo trascorrevo
gli stretti
vicoli
del paese
già cinèrei da nubi,

erano
le mani
svelate scoperte abbronzate
nel contrasto
timide
d’una interezza assemblata
imbarazzata,

era
il cuore che appena palpitava
nel rammento
di fanciulle ripartite
lontano lontano
in un clima
di pura
indifferenza,

era
mio padre
alla finestra
a sera
che scrutando
il cielo
una incombente
buriana
già annunciava,

era il mare
il nostro
che ci scrutava
minaccioso
o
triste
di certo
sempre amico
nemico sempre,

era lui
il mare
solo
a non mutare
mai,

era
mia madre
come sempre
silenziosa
ad amarci
con gli occhi
tristi
di donna costiera
a dirci
la sua inquietudine
per un anno
su noi
passato ancora,

era la piacevole
malinconia
del rinvenuto
silenzio
nel fondo delle cose
umide,

era
tutto
ad annunciarci
l’avvento
d’un
orgoglioso
autunno,

era
l’autunno
spezzata
l’estate
e allontanata
ad accompagnarci
superbo
dentro un nuovo
inverno
della nostra
vita.
(Da "L'isola nascosta" Edizioni Akkuaria 2007)

ADRIANA PASSARI (ondadigrano): LA TERRA DEI PADRI

Qualche giorno fa sono tornata di nuovo nel mio paese tra i monti dove ho fatto qualche passeggiata nei luoghi che mi hanno visto crescere. La natura è ancora tutto sommato ben conservata, e così, mentre godevo i colori e la luce di un settembre ancora caldo, pensavo a quel qualcosa in più, di profondo, di forte, che hanno i nostri luoghi d’origine, rispetto a qualsiasi altro paesaggio anche più affascinante. Mi sono riaffiorate le parole di Omero, che parlando di Ulisse, e del suo ritorno, usa spessissimo l’espressione “tornare alla Terra dei Padri”… ecco… proprio di questo volevo dire… la forza della terra dei padri (o delle madri… non cambia). Così , dopo la poesia dedicata ad un padre, al suo amore tenero, mi sembra una buona occasione postare queste righe…

Per me è stato comprendere a pieno, con il cuore, quanto era bello camminare in luoghi che avevano visto mio padre… mia madre, la loro storia, la loro fatica, sentire le mie radici intrecciate all’energia di terre e l persone… Questo può farci sentire meno soli… può far sentire una presenza importante dietro le nostre spalle… dare il senso della continuità.

E sono ancora più vive allora le parole di Caproni, che siede sulla pietra, e non è solo, o le parole di Lucia che dà addio ai suoi monti “noti allo sguardo … non meno dell’aspetto dei familiari”…

Finora il denominatore comune dei post mi sembra sia stato il senso della vita. Ma anche le memorie hanno avuto ampio spazio nella letteratura. Vorrei quindi proporre qualcosa di più mirato invitando chi ci legge a postare poesie… (sia proprie ma anche di autori più o meno noti) della memoria della terra che in fondo rimane sempre nella ricerca di senso della vita. Un grazie a chi vorrà dare il suo contributo.

Adriana

(La foto"Semina, ovvero la fecondazione" è di Aldo Fallai)

BOJANA BRATIC: DALL'EPIDAURUS FESTIVAL

Bojana Bratic è stata per alcuni giorni a Cavtat/Dubrovnik dove si è svolto l'Epidaurus Festival 2009, organizzato dall'amica, pianista e poetessa, Ivana Marija Vidovic. Ha inviato queste belle fotografie, anche per ricordare la nostra partecipazione all'edizione dello scorso anno.
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