31 dicembre 2009

ANTONIO RAGONE: SARÀ UN NUOVO ANNO






SARÀ UN NUOVO ANNO




Aspetto ormai da anni che più non so
nel freddo delle notti polari dell’assenza
un sorso di riposo alla mia mente
che sgorghi qui tra i monti dell’indifferenza.
Io amo i monti, in specie quelli che si buttano
nel mare d’un golfo che rimane caro
nel ricordo intangibile degli smarrimenti.
Il tempo è uno, non ce ne sono altri
da avvicendare, non ha eguali, muta
nel tempo il tempo, s’aggiunge altro sangue
al vino dei vitigni autunnali.
Sarà un nuovo anno, qui prossimo a ripetermi
un'altra lezione più amara
di quella gradevole essenza
che, da tempo, conservo nel tempo.

© Antonio Ragone (una mia poesia parzialmente rivisitata)


22 dicembre 2009

UN BUON NATALE DA MIA NIPOTE ANNA MARIA CON UNA SUA POESIA













Una cavalla senza meta

Un giorno ti trovai tutta sola in un immenso prato

e mi tenevi il muso con lo sguardo abbassato.

Tu stavi capendo

che ti stavamo vendendo.

Noi abbiamo cercato di domarti,

ma era troppo tardi per fermarti.

C'è stato nella tua vita chi ti ha messo le mani addosso

senza provare il benché minimo rimorso.

Quante volte ti ha colpita

e tutto perché non sei mai stata capita.

In quel momento cercavi di non aver paura,

ma non preoccuparti è la nostra natura.

E ora:" Ciao Margot, ciao piccolina e cerca di risalire la ripida collina".

"A.M.De Angelis"

(Zio Tonino spero che ti piaccia e tieni conto che l' ho scritta l' anno scorso.

Ti auguro di nuovo a te e a tutta la tua famiglia un felice Natale.

Da Anna Maria).


19 dicembre 2009

CRISTALLO DI ROCCA: UNA STORIA DI NATALE DI ADALBERT STIFTER




Cristallo di rocca. È un bel film di Natale tratto da un bel libro di Adalbert Stifter. La storia è ambientata in una comunità di montagna, al confine fra Italia e Austria, dove da tempo antichissimo due paesi sono separati da una rovente rivalità. Due bambini, fratello e sorella, si smarriscono sulla montagna innevata. Grazie a questo avvenimento l'odio viene messo da parte e gli uomini di entrambi i villaggi si uniscono per le ricerche.





La notte di Natale, in alta montagna, due bambini, fratello e sorella, si smarriscono, perdono l'orientamento e attraversano un regno misterioso di neve, pietra e ghiaccio. La lunga notte trascorsa in una grotta è carica di insidie, di seduzioni e di mistero, (la grotta di Betlemme?) ma al tempo stesso è trepidante attesa del giorno nuovo, speranza di salvezza in una fuga dal pericolo e dall'ignoto. I bambini vengono trovati e salvati dal misterioso e suggestivo Martin, che qui rappresenta la figura cristiana di colui che salva perdendo la propria vita, quindi è lui, a mio avviso, il vero protagonista della storia. È bravissimo Franco Castellano ad impersonalo. Tratto dal libro di Stifter, racconta una storia sottile e complessa, carica di sensi che vanno oltre l'orizzonte salvifico del prodigioso finale e lasciano intravedere nell'esperienza dei fanciulli smarriti la realtà della condizione umana. Il fascino di "Cristallo di rocca" - originariamente intitolato "La notte santa" - sta proprio nella felice ambiguità tra rappresentazione realistica e rappresentazione simbolica, tra vicende e spazi verosimili e il tempo mitico della sua cornice solo apparentemente favolistica, narrata con un occhio particolare alla tradizione di un Natale Vero che, oggi, vivono solo coloro che riescono, in qualche modo, a sottrarsi al modernismo e al consumismo. Il candore della neve fa da naturale sfondo ad una storia di uomini e donne di tempi che purtroppo non ci sono più. Una storia suggestiva e, perché no, nostalgica, dona una sana atmosfera natalizia, lontanissima dalle festività paganizzate e consumistiche entro le quali oggi purtroppo ci ritroviamo a vivere, e, almeno per me, a non condividere, ma a soffrirle più che a sopportarle. Questo film, fino a poco tempo fa per me sconosciuto, mi ha ridato il profumo del vero Natale. Bellissimi i dialoghi, come: "Sui monti c'è Dio" - "Dio è sempre lo stesso" - "Sì, ma sono io a non essere sempre lo stesso." - Vera poesia.


(Antonio Ragone)


Adalbert Stifter (Oberplan, 23 ottobre 1805 – Linz, 28 gennaio 1868) è stato uno scrittore, pittore e pedagogo austriaco.

14 dicembre 2009

DON TONINO BELLO: "AUGURI SCOMODI"

Ringrazio l’amica Adriana Passari per avermi dato questo spunto su don Tonino Bello e su quelli che sono i suoi “Auguri scomodi” per il Natale. Ovviamente “auguri scomodi” solo apparentemente, rappresentano infatti una sorta di tenera provocazione per invitarci ad una profonda meditazione su come è impostata questa nostra attuale società.

Don Tonino Bello è nato ad Alessano il 18 marzo 1935 ed è morto a Molfetta il 20 aprile 1993.
Io credo che don Tonino Bello è stato uno tra i più illuminati uomini della nostra epoca. Vescovo di Molfetta, è morto troppo presto, ma ci ha lasciato molte cose dette e scritte su cui riflettere. Le sue parole prescindono dal rapporto personale con la religione, con l’essere credenti o meno. Mi ha fatto piacere citarlo anche nel mio libro "La Passione degli Apostoli": “Afferma don Tonino Bello, il vescovo morto a Molfetta a soli cinquantotto anni: “non sono io a portare la croce, ma è la croce a portare me. La stessa croce dove da una parte è inchiodato Cristo e dall’altra inchiodato io, sostenuto dagli stessi chiodi di Cristo.” (Antonio Ragone - La Passione degli Apostoli - Ed. Akkuaria 2008).

AUGURI SCOMODI

Carissimi, non obbedirei al mio dovere di vescovo, se vi dicessi “Buon Natale” senza darvi disturbo. Io, invece, vi voglio infastidire…

Mi lusinga addirittura l’ipotesi che qualcuno li respinga al mittente come indesiderati. Tanti auguri scomodi, allora, miei cari fratelli! Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali e vi conceda di inventarvi una vita carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio…

Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la vostra carriera diventa idolo della vostra vita, il sorpasso, il progetto dei vostri giorni, la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate…

Giuseppe che nell’affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro…

I poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell’oscurità e la città dorme nell’indifferenza, vi facciano capire che, se anche voi volete vedere “una gran luce” dovete partire dagli ultimi. Che le elemosine di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillanti inutili. I pastori che vegliano nella notte “facendo la guardia al gregge” e scrutano l’aurora vi diano il senso della storia, l’ebbrezza delle attese, il gaudio dell’abbandono in Dio. E vi ispirino il desiderio profondo di vivere poveri che è poi l’unico modo per morire ricchi. Buon Natale! Sul nostro vecchio mondo che muore, nasca la speranza.

+ Tonino Bello, vescovo

11 dicembre 2009

ANTONIO RAGONE: LE MADRI CANTATE DA OMERO


Teti intercede presso Zeus
a favore del figlio Achille



Il mare frange i suoi flutti sugli scogli e Omero traduce quel rumore argenteo, sempre uguale, nel pianto di Teti, la gran madre azzurra, cui la guerra ha portato via suo figlio Achille. Non ci sono acque d’Acheronte che tengano, avverrà in un certo momento dell’esistenza il grande strappo del figlio dalla madre. Il figlio divenuto ormai altra persona da lei si scioglie da quel cordone che abbraccia e soffoca. Anche Afrodite Venere scende sempre alla fucina di Vulcano, negli anfratti oscuri dell’Etna a richiedere armi nuove e lucenti per il figlio Enea affinché questi possa affrontare e vincere l’aspra battaglia dell’esistere. Achille sarà colpito dalla freccia di Paride e morirà, Enea, dopo la tragedia della distruzione di Troia, salperà con la sua nave che, dopo lunghe peregrinazioni, lo condurrà fino a Roma. Ogni madre vorrebbe difendere il figlio dai colpi avversi della sorte, ma il figlio, in una solitudine che genera angoscia, vorrà affrontare il cammino che lo attende, fare le sue scoperte nel bene e nel male vivendo autonomamente la sua vita. Questo ci dice la marina madre Teti e forse nel rumore delle onde che schiumano e s’infrangono sulla riva il grandissimo Omero avrà avvertito il pianto segreto della dea non più dea ma soltanto madre dolente. Pianto uguale per tutte le mamme. Lo stesso pianto scritto in versi dai poeti del novecento. (Antonio Ragone)

Teti trovò che dalle sue sorelle
Circondata piagnea la già vicina
Morte del figlio, che ne’ frigii campi
Perir lungi dovea dal patrio lido.
Le parve innanzi all’improvviso, e disse:
“Sorgi o Teti: il gran padre a sé ti chiama”.
“E che vuole da me l’Onnipotente?”.
Teti rispose: “Afflitta come sono,
di mischiarmi arrossisco agl’Immortali.
Pur vadasi e s’adempia il suo volere”.
Ciò detto si coprì l’augusta Diva
D’un atro vel di che null’altro il nero
Color lugubre eguaglia, e in via si mise.
Iva innanzi la presta Iri, e sonora
Intorno a lor s’aprìa l’onda marina.


(Dall’Iliade – volume III – Traduzione di Vincenzo Monti)

8 dicembre 2009

ANTONIO RAGONE: RIFLETTENDO SULLA RIVA DEL MARE

Nella mia vita ho spesso passeggiato lungo la riva del mare raccogliendo gusci di conchiglie per sentirci la profonda voce degli abissi marini, ramoscelli spenti e rifiuti là collocati dalle onde quasi a ricordarci l’intera umanità, i suoi sofferti giorni e le sparute gioie. È lì, che facendo cadere dalle mie mani al vento i piccoli granelli di sabbia, ho scoperto che l’uomo non invecchia mai se conserva in sé la semplicità delle cose. Così, passeggiando lungo la battigia, dopo un notturno uragano, possiamo trovarci dentro le nostre riflessioni, ad ogni passo un pensiero ove rintracciare la perduta serenità e finalmente noi stessi. E poi fermarci all’improvviso davanti a due gabbiani senza più vita posati sulla rena bagnata. I pescatori mi raccontavano sempre che le coppie di questi uccelli marini non volano mai soli fino all’ultimo giorno quando s’accasciano sulla proda salmastra per morirvi insieme.

4 dicembre 2009

ADRIANA PASSARI (Ondadigrano): A PROPOSITO DI TEMPO






Crono divora Poseidone

in un dipinto di Pieter Paul Rubens






Si parla di fine ed inizio dell'anno…

Anno come cerchio, come anello…

Anulus, tempo ciclico… riti…

Ricordi di un tempo ciclico, scandito dai ritmi del sole e della natura, depositati ancora dentro di noi…

Ricordi che hanno bisogno, per essere risvegliati, del contatto con i cicli reali….della loro esperienza sulla pelle e dentro di noi…

E intanto noi misuriamo il tempo sul quadrante di un orologio che è spazio…

O sul display di un orologio digitale…

Un tempo biologico, con cui fanno i conti le società cosiddette primitive, (le lune degli indiani...) e un tempo sociale… scandito dalle ferie, dal calendario scolastico, dalle tasse, dalle rate del mutuo… .il tempo che è denaro…

Il nostro tempo non è più scandito dai raccolti, dato che i surgelati e il mercato globale fanno a meno delle stagioni…

è scandito dagli acquisti…

Il tempo degli acquisti e dei consumi…

la società dei consumi non ha il tempo dei progetti, il tempo della creazione, che si dipana nell'attesa di una realizzazione…

Il rito del consumo si esaurisce nell'appiattimento di un presente senza progetti…

Un tempo che non viviamo più sulla nostra pelle…

Ma è regolato dai ritmi della società…

Che ci organizza la vacanza, il tempo libero più spicciolo, il tempo libero all'interno della vacanza già a sua volta organizzata…

Ma non è tempo che "viviamo"…

È tempo che "Consumiamo"…

… scegliere significa anche riappropriarci di un tempo nostro…

Questo mi è salito dentro nel vedere in questi giorni la folla nei supermercati e nei centri commerciali…

già pronti per il Natale(?).


Adriana Passari

1 dicembre 2009

ANTONIO RAGONE: POGEROLA

Iniziando il mese di dicembre, avvicinandosi la festa del Natale, ricordi riaffiorano dalle memorie del passato.
Molto è mutato da quei giorni lontani, abbiamo perso il tempo, l’atmosfera che si respirava allora oggi non c’è, s’è frantumata nella logica d’una società consumistica imposta dalle rigide regole del mercato globale.
Uno che scrive poesie non è un cercatore di sogni, al contrario vuole trovare nell’attuale realtà tutte le sue contraddizioni, e quando appena le avverte, amaramente ne soffre.
E non si rifugia nei ricordi, ma li vive in questo presente spazio che gli è stato assegnato dalla vita, senza fuggire, senza nascondersi, consegnando al lettore le proprie domande senza pretendere risposte.
Uno che scrive poesie non reclama mai risposte, può solo porgere sofferte domande.
E mi piace qui ricordare Pogerola, il piccolo borgo costiero d’Amalfi, bianco, adagiato sui monti che scendono al mare, in memoria della cara madre.

POGEROLA


I viottoli che scendono
al mare hanno il profumo
del sale mescolato
agli umori delle grandi
foglie carnose che s’aprono
al gracile fusto dell’agave fiorito
dei fichidindia e della parietaria
e di lucertole al sole
che pronte si rifugiano
nelle crepe dei pietrosi muri.
C’è il profumo dei biondi
limoni che si tengono stretti
sulle piazzole di terra
rubate alla rocciosa costa
dove pure sostano pascoli
di pecore e cavalli.
Antonio Ragone (Da "I Passi sul sentiero sconosciuto" - Liberidiscrivere 2009)

LA SERA INQUIETA


È l’ora bruna, afosa, ancora una,

di questa estate amara, per me malata.
Amara oggi, con questi anni addosso,
ma più degli anni è il peso del marinaio
stanco delle tempeste marine, dei venti
contrari, delle illusioni delle sirene e dei porti
più lontani raggiunti, dopo naufragi
su isole deserte. Sempre il viaggio riprese,
lo stanco marinaio, e ancora oggi!
Amara oggi, estate, così come gradita permane
la memoria di quelle lontane, intrise
dall’odore dei filari di pomodori di Pogerola.
In quei campi costieri, a volte, la mia mano trafugava
al venticello qualche sparuto sogno smarritosi
nell’aria tiepida della paziente sera; oggi non più,
la sera è inquieta, pur se ancora s’ode il lamento
d’una solitaria volpe nella valle,
o il gràcchio delle cornacchie grigie,
nidificate sull’antica vetta della chiesa.
Domani, all’alba, c’è solo da scrutare il mare,
meglio d’inverno, nel pieno d’un fragoroso
temporale, dove perdersi o ritrovarsi,
seduto sopra i massi a Terracina;
e così aspettar che ti sputi in faccia
i suoi zampilli.
Antonio Ragone (Da "L'isola nascosta" - Ed. Akkuaria 2007)
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