1 aprile 2011

LA PENISOLA DEI GOLFI DI NAPOLI E DI SALERNO.


La Penisola Sorrentina è una striscia di terra che scende dai monti Lattàri dalla fertile valle di Tramonti declinandosi e offrendosi al mare, restringendosi progressivamente fino alla punta Campanella. Splendide isole le fanno compagnia, Capri e il piccolo arcipelago delle tre isolette Li Galli, più in là, Ischia. Il versante occidentale della penisola dei due golfi è la costiera propriamente sorrentina, con il golfo di Napoli, il versante orientale è la costiera amalfitana, con il golfo di Salerno in tutta la sua ampiezza che si estende fino ai monti Picentini, nella grande pianura del Sele, dove i templi di Paestum ricordano la grandezza dell’antica civiltà greca. La costiera amalfitana è fatta di roccia calcarea, corrosa dalle acque che nei secoli hanno generato profondi valloni, fenditure, terrazzi, massi ciclopici, pinnacoli, torrioni, guglie e fiordi, famoso e straordinario quello di Furore. La strada è tortuosa, scavata nella roccia, a precipizio sul mare, dove un tempo passavano i carrettieri con i cavalli al trotto, nelle nottate d’inverno si proteggevano dalla pioggia sempre abbondante con grossi ombrelli e con la fioca luce d’un lume a petrolio. Abbarbicati alla roccia tanti paesini nati da un “sussulto” della terra, con case bianche di luna, con il mare simile ad immensa piazza rispettato, amato e temuto dall'uomo dove vi cammina in punta di piedi. Splendida la descrizione che ne fa il grande poeta salernitano, Alfonso Gatto, nella sua prosa memoriale Le case in fiore del 1951: egli rappresenta la costa d’Amalfi con i suoi colori forti, i suoi giochi di luce, che furono fonte di ispirazione  per il suo lirismo puro e per le sue vastissime suggestioni pittoriche, perché Gatto, è bene ricordarlo, fu anche pittore e critico d'arte.
La costa d’Amalfi è una strada tra i monti e il mare, dove, tuttavia, lungo i ripidi pendii, l’abilità dell’uomo è riuscita a conquistare negli anni lo spazio per oliveti, agrumeti e vigneti facendone terra di contadini e pescatori. Questa lingua di terra protesa nel mare ebbe nel passato un ruolo di rilevante importanza storica, con i suoi traffici commerciali e la sua marineria rappresentò un ponte sul mediterraneo tra la cultura arabica e quella italica, tanto da meritare il nome di Meridione Moresco. Percorrendo, infatti, i numerosi paesi che la compongono è facile ricordare nella struttura  geometrica e nei colori delle case e delle chiese la caratteristica estrazione araba: nei paesi marini, Positano, Vèttica maggiore, Praiano, Furore, Conca dei Marini, Amalfi, Atrani, Minori, Maiori, Erchie, Cetara, Vietri sul mare; e in quelli sui monti, bianchi e suggestivi immersi nel verde degli alberi coltivati, come Ravello, Tramonti, Vèttica minore, Scala, Pogerola…
L’influenza araba è una costante negli usi della vita quotidiana, nella cultura, presente nell’artigianato di mestieri antichi che tuttora sopravvivono, come la lavorazione della carta ad Amalfi e la fabbricazione della ceramica a Vietri sul mare, una fantasia di linee e colori tipici degli arabeschi greci ed orientali.
Alfonso Gatto, in quel suo libro che ho citato sopra,  descrive un’immagine possente della nostra terra, rivendica il suo orgoglio d’uomo meridionale e la sua appartenenza ad una civiltà antichissima, ad un popolo geniale e assuefatto alla fatica, troppo spesso criticato e ingiustamente offeso, che continuamente si riscatta nell’amore della sua terra e del suo mare, dove rinviene la memoria di se stesso. 

Di seguito, una poesia di Alfonso Gatto. 



LE CASE BIANCHE

La prateria che corre verso il mare
stralciata dai cespugli, dalla sabbia,
a precederla il cielo perché n’abbia
vigore il bianco del suo lontanare…

case e torri laggiù, dici del nuovo
paese  che si dà per quel che aspetti,
ed io non che cerco, se mi trovo
ad aver tutti i denti così schietti

come vorrei per sentir sui muri
di calcina e di luce l’aria aperta
dal tuo candore, gli occhi così puri.
Ogni giorno la terra sale all’erta

d’una casa ammirata che le mostra
contenta il suo vedere, ma la nostra
tristezza è la parola che ci coglie
improvvisi, interdetti sulle soglie.

Che faremo di noi? La casa vuole
a distanza invidiabile il suo bianco
apparire di vela, la sua mole
ariosa di tomba. E nostro è il franco

destino di rincorrerla se appare
per altri cieli e lungo tutto il mare.

Alfonso Gatto
(Da “Rime di viaggio per la terra dipinta” 1968-1969)

1 commento:

  1. Antonio, che bella descrizione fai della nostra costa amalfitana!
    Ricordo che l’hai avuta sempre nel cuore, quante passeggiate vi abbiamo fatto insieme in quei luoghi meravigliosi.
    Grazie per il tuo commento a quella mia modesta “poesia” che ti ho inviato.
    Se ci incontreremo di persona, quando ci ritornerai, spero di poterti rivedere, potremo parlare di quei tempi. Ciao.

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