22 febbraio 2012

ETERNO, DI GIUSEPPE UNGARETTI.

Nel 1931 esce l’edizione definitiva della raccolta poetica L’Allegria. Apre la raccolta la poesia Eterno. Il componimento, in due soli ed essenziali versi in apparenza impenetrabili ma profondi, preannuncia la poetica ermetica della seconda opera di Giuseppe Ungaretti Sentimento del tempo. Questa poesia è certamente enigmatica e complessa, per cui ogni commento non può che apparire soggettivo e pertanto limitato.  Si parla di un gesto, un fiore colto e donato, espressione figurata della vita umana e delle sue azioni, che si fonde con l’immenso, di cui l’uomo è parte integrante. Allora in questo ambito il nulla non è assenza ma inevitabilmente presenza inesprimibile. Certamente s’avverte la necessità interiore del Poeta di ambire ad evocare la totalità dell’universo, entro il quale permane il senso del Mistero.

ETERNO

Tra un fiore colto e l'altro donato
l'inesprimibile nulla

Giuseppe Ungaretti

7 febbraio 2012

LA NEVE NEL “PAESAGGIO INVERNALE” DI RAINER MARIA RILKE.

Dal cielo grigio cade la neve. Così il bosco di altissimi abeti è animato dal respiro lieve degli alberi rivestiti d’un manto nevoso sempre più candido, più morbido e folto; le strade della città lontana sono senza rumori e suoni, zittiscono; nell’interno delle case si fa più profondo il silenzio. Le ore battono all’orologio d’un campanile, è un suono fioco di rintocchi che fa sussultare i bambini. Sopra gli alari, i sostegni di ferro sui quali si appoggia la legna da ardere, un ciocco cade nel fuoco che scintilla. La neve sulle cime altissime degli alberi brilla con luccichìo di gemme sfolgoranti; il cerchio luminoso del giorno brilla di niveo splendore e si congiunge con l’Infinito e l’Eterno.

PAESAGGIO INVERNALE

Respirano lievi gli altissimi abeti
racchiusi nel manto di neve.
Più morbido e folto quel bianco splendore
riveste ogni ramo, via via.
Le candide strade si fanno più zitte:
le stanze raccolte, più intente.

Rintoccano l’ore. Ne vibra
percorso ogni bimbo, tremando.
Di sovra gli alari, lo schianto d’un ciocco
che in lampi e faville rovina.

In niveo brillar di lustrini,
il candido giorno là fuori s’accresce,
divien sempiterno Infinito.

Rainer Maria Rilke

3 febbraio 2012

EDOARDO CILLARI, SUL MONITO ALL’ETERNA UBRIS DELL’UOMO (A PROPOSITO DE "GLI UOMINI DEL FIUME").

Caro Antonio,
vorrei che zio Mario fosse qui con noi, e insieme con me, possa dire grazie al suo alunno di allora per le belle parole con cui hai voluto commentare il suo lavoro. A me piace sopratutto la spiegazione in cui dici, giustamente, che la storia propria degli elementi naturali vien quasi ad intersecarsi con quella degli uomini, quasi un'osmosi magica, nella quale i destini degli uomini sono indissolubilmente connessi all'instancabile, spesso vorticoso mutare degli elementi di madre Natura. E come non sentirsi ancor più piccoli nei confronti di questi moloch naturali che, alla fine, non rappresentano altro che il monito all'eterna Ubris dell'uomo, che si illude di poter tanto e poi basta una pioggia un po’ più intensa o un terremoto sottomarino a più di cinquemila metri dalla costa per costringerlo a fare i conti con la propria finitezza. Certo, nel lavoro di zio Mario questi concetti magari non ci sono, o sono appena appena accennati, ma a me hanno fatto riandare, grazie proprio al tuo commento, a queste considerazioni, ed allora devo veramente fare un ringraziamento doppio, a mio zio che l'ha scritto e a te che lo hai così… indimenticabilmente commentato. E capita sempre che magari pensavi, dalle letture precedenti, di aver sviscerato la maggior parte dei concetti e delle spiegazioni ed invece ecco che un commento diverso ti apre un mondo di nuove possibilità interpretative. Per tutto questo, grazie ancora.
Edo

1 febbraio 2012

MARIO COLASANTE, GLI UOMINI DEL FIUME, DRAMMA AMBIENTATO NELLA VALLE DEL FIUME ALENTO.


Mario Colasante è stato mio insegnante di materie letterarie alla scuola superiore di Salerno. Lo ricordo nelle sue pregevoli esplicazioni di poesie, in particolare ci attirava tutti a sé quando spiegava, anzi commentava, i passi della Divina Commedia. Allora la nota e innocente turbolenza della classe s’acquietava. Sapevo che era uno scrittore, avevo letto di lui qualche racconto trovato su alcune antologie. La vita, poi, ci porta altrove, ma c’è sempre un punto in cui il passato ci attende e inaspettatamente ridiventa presente. Accadde in una sera piovosa di fine settembre. Parole scambiate con un compagno di viaggio nel porto di Bari in attesa d’imbarcarci verso Dubrovnik, stupenda città della costa croata, lì entrambi invitati dalla carissima e comune amica Ivana Marija VidovicEdoardo Cillariottimo interprete e traduttore di lingua serbo-croata, mi accenna di suo zio Mario Colasante, insegnante e scrittore, così ritornano i ricordi dal passato. Tempo fa Edo mi fece un dono prezioso, il libro "Gli uomini del fiume", scritto da suo zio nel 1943, nel pieno del secondo conflitto mondiale. L’ho letto con attenzione e con riverente commozione. Si tratta di un dramma in tre atti con versi endecasillabi che solo a tratti vengono interrotti con funzionali versi di diversa metrica. È un dramma epico narrato con uno stile originale e particolarissimo, che si svolge interamente nelle valli del fiume Alento, nel Cilento, a sud della provincia di Salerno, luoghi a me molto cari. Nel dramma, uomini e donne, padroni e contadini, combattono la dura battaglia della sopravvivenza muovendosi fra amori, passioni e tradimenti. Gli eventi sono sempre collegati all’umore del fiume, e ciò avvalora ancora una volta la tesi che è propria della letteratura del novecento, cioè la funzione primaria che gli elementi naturali hanno nella vita degli uomini e che gli uomini stessi non sono avulsi da essi, anzi con essi son parte integrante dell’universo. Per questo il vero protagonista del dramma è proprio il fiume, è lui che condiziona la vita e la storia dei personaggi, è lui che dà loro la vita e la morte, a dimostrazione di come l’acqua e l’uomo vivono una perenne e naturale simbiosi. La fatica del vivere, sia fisica che morale, si congiunge alle contraddizioni degli umani sentimenti contrapposti tra l’amore e l’odio, buoni ed impetuosi come l’acqua del fiume che ora scorre lieve come riposo ora infastidito e furente. Così sono i sentimenti dei personaggi: Vania, Diego, Sandro, la vecchia Frasia, Vanni De Grippa, Pietro, Nunzia, Eligi, Sceppe Mazza, che s’intrecciano in una storia amara e cupa dove però, proprio nel tragico finale, è la speranza verso un avvenire migliore a prendere il sopravvento, nelle parole che Diego rivolge, innalzandolo verso l’alto in una scena che improvvisa s’illumina, al proprio figlioletto: “… la vita che fiorisce / nella tua vita… ma io saprò vegliare / sul tuo destino… e presso la mia casa / c’è la mia terra, o Ninni, questa mia / terra, la nostra terra, l’avvenire…”.
È presente la metafora della guerra che spinge gli uomini verso la rinascita; ed è la forza istintuale dell’uomo che vuole e deve reagire alla dolorosa esperienza distruttiva della guerra per costruire un futuro migliore per i suoi figli. Allora come oggi, tema attualissimo.
La presenza dell’autore al dramma è palpabilmente visibile, s’avverte l’alternanza dei propri sentimenti che s’uniscono con partecipazione dolorosa e a tratti veemente, alla coinvolgente narrazione della storia. Egli stesso scrive in premessa:
“Il dramma non ha confini di tempo. L’autore immagina svolgersi l’azione nella sua terra luminosa, in una delle valli del fiume Alento, perché nomi e vicende li ha sentiti laggiù”.
Propongo alcuni passi salienti del dramma, essendomi impossibile, come meriterebbe, essere riportato per intero.



Dimmelo, Frasia, per i tuoi capelli
bianchi, per il tuo Dio che preghi sempre
fino alla notte tardi, e che t’ascolti
tutte le preci che il tuo cor Gli chiede:
ascolta, Frasia, la mia vita è stata
triste come non mai.

O mamma, in questa notte siamo soli,
non ho nessuno, o mamma, che m’ascolti,
che m’asciughi le lacrime.
Passa tu sul mio volto la tua mano
Tremante, e mi cancella la bufera
Dal cuore. ora lontano
Tutta la vita mia passa in un pianto.

Dove sarai, perché non me l’hai detto,
perché ho distrutto tutta la tua vita,
perché così mi sferza il mio destino?
E solo la fiumana mi risponde
col suo rumore cupo, con la voce
assordante, che dice tante cose
E dice nulla…
Forse perdonerà. La mano ferma
poggerà su la spalla mia, ne gli occhi
mi guarderà profondo…

La fiumana,
padrona, ha già travolto gli steccati,
già qualche casa rotola sul greto,
forse domani sarà troppo tardi…
non possiamo
lasciare morire i nostri figli.
Salite tutti alla collina, l’acque
Non arrivan lassù; vi fermerete
Alle baracche; r se l’inondazione
Viene, penserò io pe ‘l vostro pane.
E il fiume porterà le case a valle?
Ci sono i vecchi, i bimbi, il bestiame.
Ed allora
Morremo tutti. Io non ci verrò su ‘l fiume.

Io, ne la vita, fui come i viandanti
che son perduti e non hanno più mete,
e sentono le labbra arse di sete
e sentono le palpebre brucianti.
Domani piglieremo un’altra via,
forse più lunga, ma che importa? tanto,
noi non s’arriva mai…

… La vita che fiorisce
nella tua vita… ma io saprò vegliare
sul tuo destino… e presso la mia casa
c’è la mia terra, o Ninni, questa mia
terra, la nostra terra, l’avvenire.

Mario Colasante
(Da “Gli uomini del fiume”) 
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