29 aprile 2012

ANGIOLETTA FACCINI, È GIUNTA LA MORTE.

L’amica poetessa Angioletta Faccini mi ha inviato queste toccanti poesie dedicate alla memoria d'una persona cara che il suo corpo ha lasciato di recente.
Volentieri le pubblico.

Purtroppo la vita ci mette di fronte a inesplicabili avvenimenti, e quasi sempre non si riesce mai a capire in tempo,
la nostra umanità è anche il nostro limite.
Ti sono vicino in un momento doloroso della tua vita.
Antonio


È giunta la Morte


nel mio dolore
nel mio pianto cerco l’itinerario
che possa di nuovo
riportarmi a te
e quanto mi manchi…
mi manca quella tua bravura silenziosa
la Morte t’ha reso inerme
trascinato con se
all’improvviso indifesa mi trovo
in questo spazio infinito
colmato da inesauribile vuoto!
Le divergenze, i monologhi
e le picche
han cessato d’esistere
colla Morte
È giunta la Morte
nell’idea
coll’inganno della mente t’abbraccio
coll’immagine della tua presenza
m’aggrappo a te
Non lasciarmi ti prego.

27 aprile 2012


E gli Dei che implorai

E gli Dei che implorai
al tempo della tua sofferenza
m’han guardata con occhi bassi
non era bastevole
la mia promessa?
troppo facile forse?

Le traversie sopraggiunte nelle stagioni
Il vissuto nella nostra vita
le dolcezze le amarezze
nella nostra esperienza prima che
fossimo coppia
e genitori separati e scongiunti
prima che di nuovo ancora
fossimo alleati

il Vissuto qualunque fosse
solamente gli Dei avevano cognizione
Gli Dei che implorai
m’han dato la risposta
nel silenzio parlato

Iside
la Grande Dea che m’avvolge
col suo manto
mostra Il silenzio che permea

 29 aprile 2012

Mi manchi mi manchi

Dai miei occhi sgorgano
Lacrime pesanti
Lacrime accatastate dal tempo e nel tempo

Mi manchi, mi manchi!
nel mio dolore
nel mio pianto cerco un itinerario
m’aggrappo all’illusione
di poter di nuovo  esser
restituita  a te
alla mia creatura

e intanto mi manchi
mi manca quella tua calma silenziosa
Indifesa sono adesso
non credevo d’esserlo prima d’ora
quando eri indifeso tu
questo spazio infinito
narra l’indescrivibile vuoto!

Le battaglie, i monologhi
han cessato d’esistere

le cose fatte insieme
han preso colore e sapore diverso
han preso il colore il sapore grave
dell’assenza eterna.

29 aprile 2012

La tua compagna di vita
Angioletta Faccini

18 aprile 2012

UNA BREVE INTRODUZIONE ALLA POESIA ITALIANA DEL NOVECENTO.

  Già Hegel, nell’Ottocento, parlava della futura "morte dell’arte" in seguito ad una  presa di coscienza che qualsiasi forma sensibile è insufficiente per manifestare in maniera idonea l’interiorità spirituale e provoca appunto la crisi dell’arte, divenendo fra le diverse dimensioni del sapere quella posta più in basso. Per naturale estensione si può racchiudere all’interno di questa definizione anche la cosiddetta “arte di scrivere in versi”, ovvero la Poesia, la forma più discreta di tutte le arti. C’è stata poi la tendenza, da parte di diversi storici, anche a causa delle tragedie di questo secolo che fanno ancora fatica ad essere definitivamente consegnate alla storia, a definire il Novecento un secolo non compatto e quindi indecifrabile nel suo insieme, che si può cercare di comprendere solo dividendolo in vari spezzoni decifrabili ognuno da solo e per se stesso. Ma questo, a mio avviso, è probabilmente la minima difficoltà che si pone, dal momento che la suddivisione dei secoli non è che una convenzione umana nata solo per motivi storiografici e non soggetta quindi a forme assolute di pura compattezza. Inquadrare, tuttavia, nell’ambito di questa premessa, la poesia italiana del Novecento e trarne una definizione, non è possibile senza tracciare una linea tra i secoli che si sono avvicendati nell’intero secondo millennio.
Per sintetizzare, tralasciando quindi l’importanza del petrarchismo, si può asserire che i primi segni di cambiamento nella poesia italiana si avvisano vistosamente in Leopardi, a mio avviso, il punto di arrivo e di partenza per una nuova letteratura, i suoi “Canti” formati da endecasillabi e settenari con molte rime sparse, alcune interne, rompono definitivamente con il classicismo aprendo verso sperimentazioni di molti poeti dell’Ottocento, tra cui Zanella e Pascoli, il quale viene indicato da taluni critici come il vero iniziatore virtuale della poesia del Novecento. Ma la vera innovazione della poesia del Novecento avviene con l’avvento della cosiddetta “poesia pura” di Ungaretti come contrapposizione alla retorica di Carducci e all’estetismo di D’Annunzio, ai quali già precedentemente si erano proposti i poeti crepuscolari come Corazzini e Gozzano, e in una certa misura, la fallimentare poesia futuristica di Marinetti.
Ungaretti, dunque, è il vero iniziatore della poesia italiana del Novecento, che contrappose la sua “lirica pura” come esigenza straordinaria da offrire ad un secolo che, appena nascente, aveva già un orizzonte perplesso e preoccupato dal punto di vista storico-sociale. Parole pure, quindi, depurate da ogni esteriorità, rese essenziali nella forma grammaticale e poetica, semplificando e a volte sconvolgendo la sintassi, evitando la punteggiatura e finanche articoli e congiunzioni, rendendo l’interpretazione intricata e difficile attraverso l’uso di analogie ritenute complesse, che portò addirittura, nel 1936, il critico Francesco Flora a coniare, in maniera ingiusta ed esagerata, il termine letterario “ermetismo”, divenuto poi definizione, nel senso positivo del termine, d’una caratteristica letteraria che ha influenzato tutta la poetica del Novecento e gli inizi del terzo millennio.
Numerosi sono i grandi poeti di questo periodo, solo per citarne qualcuno, Montale, il poeta della negazione, gli ermetici non ortodossi Quasimodo e Gatto, Caproni, Sinisgalli, Rebora, Luzi, fino a giungere alla sensibilità inquieta di Pasolini.
La poesia è morta qui? Credo assolutamente di no, la poesia c’è, forse è la società attuale che, priva di punti di riferimento, è distratta dalla frenetica fretta del consumismo imposto dal mercato globale.

(versione stampabile a questo link)

10 aprile 2012

UN URLO NELL’IMMENSITÀ .

Un canto, forse un urlo nell’immensità di cui anch’io sono parte integrante. Io non sono avulso da questa immensità entro la quale la mia vita percorre il suo cammino. Immensità e vita, dunque, infinito e finito, sembra un paradosso questa composizione universale dove tutto il contenuto è finitezza mentre il contenente è infinito mistero. E forse proprio per questa antinomia che l’animo poetico avverte forte l’esigenza di confrontarsi con l’infinito entro il quale per l’umanità è solo sofferenza. In questo secolo, ovvero in questo mondo, il mio cuore è tremolante perché tutto è incoerentemente inspiegabile.

1 aprile 2012

L'ORTO DEGLI ULIVI, LUOGO DELLA SOFFERENZA UMANA.


Ecco, l’Orto degli Ulivi, il luogo della tragedia della vita: gli smarrimenti e le delusioni, il dubbio e la paura, i momenti di sconforto al di fuori della speranza e del coraggio di lottare contro le avversità e i fallimenti dell’esistenza umana, dove, più che vivere, forse già sopravvivere è difficile e così facile è morire.
Quante volte gli Apostoli, pur condividendo la propria vita con Gesù, hanno avvertito il tacito e gelido tremito della paura!
E quante volte hanno percepito il pesante senso della stanchezza fisica e morale!
Gesù sente la loro sofferenza, sa che hanno bisogno di essere consolati ed incoraggiati contro la minaccia della tempesta marina, quando le onde li travolgono, e non capiscono perché quel mare che faticosamente dà loro da vivere allo stesso tempo, in un attimo, dà loro la morte: “Non ti importa che moriamo?” (Marco 4,38).
Nel mondo medio-orientale in cui vivono Gesù e gli Apostoli, allora il mare in tempesta era la grande metafora della presenza di potenze tenebrose e indomabili avverse al bene degli uomini.
Ora, in quel preciso momento storico, gli Apostoli, in quella notte tempestosa e inquietante, vissero un’esperienza di una incontenibile paura, si sentirono in preda ad un potere misterioso, esposti all’inevitabile fine, sottoposti alla furia degli elementi, inermi piccoli frantumi, frangibili gozzi destinati ad essere inesorabilmente inabissati per sempre.
L’Orto degli Ulivi rappresenta la vita, quindi questo luogo si può definire l’inizio della passione degli Apostoli, della loro tragica speranza della vita, che per naturale estensione è la passione di tutta l’umanità.

II



Notte, profonda notte, sopra l’orto,
ombre fluttuanti tra fumanti torce,
ci sfiora un turbinio di sentimenti
nel nostro sonno che è inquieto e vile.
Il vento passa sui distesi capi,
e tra i capelli un brivido ci lascia
di schiavitù d’umane emozioni;
sospinge le nubi a velar la luna
ché l’universo resti così immoto.
Ecco, è tra noi il tragico mistero:
forse è preghiera anche la paura
dentro un silenzio doloroso e cupo.


Antonio Ragone
(Da "La Passione degli Apostoli", Edizioni Akkuaria 2008)
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