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15 aprile 2010

POESIE DI RENATO FILIPPELLI

Renato Filippelli è nato nel 1936 a Cascano di Sessa Aurunca, in provincia di Caserta. Laureato in Lettere Moderne nell’Università “Federico II” di Napoli, ha insegnato per oltre trenta anni letteratura italiana moderna e contemporanea nell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Oltre a testi di poesia, ha scritto numerosi testi scolastici di notevole spessore didattico e culturale, tra cui mi è gradito evidenziare “L’italiano com’è: educazione alla lingua e grammatica ragionata", la cui terza edizione è uscita nel gennaio del 1986, Edizione Il Tripode, Napoli, un testo che, a mio avviso, tutti coloro che scrivono di letteratura dovrebbero tenere a portata di mano per una preziosa consultazione. Di lui propongo  due delicate e toccanti poesie, dove si avverte l’odore della sua terra di origine che fa da sfondo alla figura materna.



STO CON LE LORO VOCI

Tu mi chiedi, sgomenta della luce
arida e chiusa dei miei sguardi, antiche
parole, una certezza di cammino
per le nostre creature, chiami sogni
lontani, l’ombre nostre che si giunsero
all’acque del Volturno; ma non ho,
vedi, che mi trattenga alla mia sorte
altro che la marea
sorda, implacata a battermi,
della speranza dei miei morti; e ancora
m’addosso al muro del sagrato,
davanti ai roghi della notte
di San Giuseppe,
spezzo il pane crociato
della fraternità con la mia gente.
Sto con le loro voci, aspre, profonde
di pudore, di gioie ferme e tranquille;
e ci son quelli che mi benedissero
l’infanzia e poi mi tolsero l’amore,
il moto dello sguardo.
Porto con me la loro morte, chiusa
nella mia scorza: frutto che matura.


ALLA MADRE

Io salivo la strada degli ulivi
fino alla tua collina, mi fermavo
attonito: passava la tua voce
su nenie antelucane
di donne in riga a pascoli di strame
o inginocchiate sulle pietre ai rivi.
Ritrovavo il tuo lume sulla soglia,
e il tuo grido: una lama che si snuda.
O madre, esile madre, questa
ebbi grazia di sogni dalla notte.
Ma la luce dell’alba ti conchiude
al tuo gesto d’addio
mansueto e selvaggio sulla morte
del tuo sposo-padrone, e sei già uscita
dal tempo, sei una pietra
del Sud lavorata
dal pianto, la Pietà senza il figliuolo;
e più non chiedi, non sei più mendica.
Un tempo mi scrivevi: “ O figlio, vengono
le annate tristi. Ancora ti vorrei
nel mio povero grembo come un seme”.

Renato Filippelli

1 commento:

  1. Grazie Antonio per queste bellissime poesie!

    Ch'io non sia fraintesa! ma chi come me non ha cultura, s'abbevera alle varie fonti dell'esprimersi, del vergar righe, come un seme che poi nel Tempo matura e mostra il contenuto del frutto: l'insegnamento oltre la personale forma espressiva di noi poeti (infatti con gli anni, le poesie mutano modo d'esprimersi, si cresce e si matura).
    Nella loro delicatezza, queste poesie danno l'impressione della voce e delle righe che si fondono! mi danno sensazione d'ondeggiare nel mio animo mentre le leggo....

    Grazie ancora.

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