Pagine

4 settembre 2011

IL MARE, ENEA E L’OMBRA DI ETTORE IN UN TEMPO INSENSIBILE.


In seguito a una violenta tempesta Enea e i suoi compagni sono stati scaraventati dalla furia marina sulle coste libiche e ospitati con generosità dalla regina Didone che in quei luoghi stava fondando una nuova città, la futura Cartagine. Per invito di Didone Enea narra le dolorose vicende dell’ultima notte di Troia; il fatale cavallo di legno, uscito dall’astuta quanto cinica mente di Ulisse, è ormai dentro le mura, tutti dormono ignari dell’estrema rovina che pende sul loro capo, e anche Enea dorme. La figura del cavallo è la tagliola entro la quale spesso affondiamo il piede, dolore lancinante, acuto grido che si leva invano, chi ascolta? Enea, sollèvati dal sonno, non avverti l’insidia? Ecco, l’eroe Ettore apparirgli in sonno, piangente, con le carni disfatte e coperte di polvere per l’ultima infamia di Achille, l’umana forza ebbra di sangue e di morte, che lo trascinò via legato alla sua nefasta biga. È terribile il contrasto fra la città che dorme, tranquilla e ignara del suo atroce destino, e Ettore in lacrime, giacché solo i veri eroi piangono. Ma quale malvagità è pur sempre presente nel cuore umano! Allora Ettore stesso, l’eroe così forte e magnanimo, supplica Enea di fuggire, ché nulla ormai si può più fare per salvare la sventurata patria; fugga dunque e rechi con sé le sacre cose, prenda con sé i Penati, gli dèi del focolare domestico, e in altra terra fondi una nuova città, cui è riservato un grande futuro. Così Ettore stesso, mentre il fuoco distrugge la città per cui è morto, predice e consacra l’alta missione di Enea. Guarda il mare, Enea, egli ancora ti chiama, prendi il largo, il viaggio ancora una volta è da riprendere, sempre.


TEMPO INSENSIBILE

Trascorre il mare intanto e odo
il cruento fragore delle romite
onde infrangersi sugli insensibili scogli
e solversi in schiumosa vacuità di vento.

Che di mire lucenti nei tempi
dell’attesa, l’orizzonte così
vivo, vicino, raggiungibile,
appariva pregno.

Antonio Ragone (Da “L’isola nascosta” Edizioni Akkuaria – 2007)

5 commenti:

  1. La mitologia ci viene sempre in aiuto quando mette in risalto le sofferenze patite, i pericoli che il popolo vinto ha dovuto affrontare prima di ricostruirsi una nuova patria, una nuova vita. Tutto è molto bello.

    RispondiElimina
  2. Il dolore degli individui e dei popoli sono i motivi dominanti che tu, caro Antonio, hai attualizzato da par tuo, con la tua forte sensibilità di uomo, soprattutto, e di poeta. La poesia è stupenda.

    RispondiElimina
  3. bello quello che hai scritto e soprattutto vero. Parti dalla mito di Enea e di Ettore e lo trasporti nella nostra attualità. Sei bravo davvero! Ciao.

    RispondiElimina
  4. Complimenti per la tua bella e veritiera poesia,Antonio !
    Soltanto la tua profonda sensibilità ha potuto mettere in risalto le atrocità subìte dai protagonisti della mitologia greca,attuando,così, un parallelismo con le nostre sofferenze in un'epoca,quella attuale,dominata dalla mediocrità e dall'indifferenza di tante persone .

    RispondiElimina
  5. Melanconico e sublime il canto parola.
    Flauto di canna esile e forte cantore, menestrello. Il tuo dire ricco e profondo, il dolore accorato, elaborato attraverso metafore ricamate che donano le ali alla speranza di far volare libera la vita. Il flauto non può tacere, segue lo spartito del cuore per sé, per me, per tutti noi. Amo il tuo stile Antonio, lo amo davvero.

    RispondiElimina

Se vuoi esprimere un tuo commento, lascia un messaggio possibilmente non anonimo. Grazie.