Ora egli vive altrove. Il poeta è a Messina, dove insegna Letteratura Latina presso l’Università di quella città, con lui c’è la cara sorella Mariù. È altrove dalla sua terra di Romagna, altrove da se stesso. È inverno, eppure c’è aria di primavera nell’aria, sì, nel ricordo che lo veleggia lontano nel tempo passato, un ricordo così forte che si fa quasi onirico e gli riporta un dolce profumo di viole, paesaggi di piccole chiese di campagna e bianche ali sospese: gli aquiloni. Ora vive nel sogno, il poeta adulto si rifà bambino, il suo amato fanciullino, è nel collegio e rivede i suoi compagni in un giorno di festa tra siepi, bacche e Urbino ventosa.
E volteggiano nel cielo sereno gli aquiloni, o spensierata sofferta
fanciullezza!
Ma c’è forte una folata di vento che strappa un aquilone e
lo fa cadere quasi gemendo al suolo, come geme il cuore ora deluso del
fanciullo che poc’anzi lieto lo muoveva.
O misteriosa precarietà della vita, dove tutto ondeggia come
un aquilone al vento!
Così i verbi in asindeto riproducono i rapidi
movimenti dell’aquilone,
cui si collega la gratificazione del ricordo
infantile. Ma la morte dell’aquilone è la metafora della morte del
fanciullo, così sopraggiunta senza preavviso, inattesa, rapida come il volo
dell’aquilone. Il Poeta ora ricorda il dolore e le lacrime che per lui pianse e
l'infinita tenerezza della madre del fanciullo che lo pettinò amorevolmente
dopo che era già spirato, con delicatezza adagio per non farti male.
"... eppur, felice te che al vento
non vedesti cader che gli aquiloni!".
non vedesti cader che gli aquiloni!".
L’AQUILONE
C'è
qualcosa di nuovo oggi nel sole,
anzi d'antico: io vivo altrove, e sento
che sono intorno nate le viole.
anzi d'antico: io vivo altrove, e sento
che sono intorno nate le viole.
Son nate nella selva del convento
dei cappuccini, tra le morte foglie
che al ceppo delle querce agita il vento.
Si respira una dolce aria che scioglie
le dure zolle, e visita le chiese
di campagna, ch'erbose hanno le soglie:
un'aria d'altro luogo e d'altro mese
e d'altra vita: un'aria celestina
che regga molte bianche ali sospese...
sì, gli aquiloni! È questa una mattina
che non c'è scuola. Siamo usciti a schiera
tra le siepi di rovo e d'albaspina.
Le siepi erano brulle, irte; ma c'era
d'autunno ancora qualche mazzo rosso
di bacche, e qualche fior di primavera
bianco; e sui rami nudi il pettirosso
saltava, e la lucertola il capino
mostrava tra le foglie aspre del fosso.
Or siamo fermi: abbiamo in faccia Urbino
ventoso: ognuno manda da una balza
la sua cometa per il ciel turchino.
Ed ecco ondeggia, pencola, urta, sbalza,
risale, prende il vento; ecco pian piano
tra un lungo dei fanciulli urlo s'inalza.
S'inalza; e ruba il filo dalla mano,
come un fiore che fugga su lo stelo
esile, e vada a rifiorir lontano.
S'inalza; e i piedi trepidi e l'anelo
petto del bimbo e l'avida pupilla
e il viso e il cuore, porta tutto in cielo.
Più su, più su: già come un punto brilla
lassù lassù... Ma ecco una ventata
di sbieco, ecco uno strillo alto... - Chi strilla?
Sono
le voci della camerata
mia: le conosco tutte all'improvviso,
una dolce, una acuta, una velata...
mia: le conosco tutte all'improvviso,
una dolce, una acuta, una velata...
A uno a uno tutti vi ravviso,
o miei compagni! e te, sì, che abbandoni
su l'omero il pallor muto del viso.
Sì: dissi sopra te l'orazïoni,
e piansi: eppur, felice te che al vento
non vedesti cader che gli aquiloni!
Tu eri tutto bianco, io mi rammento.
solo avevi del rosso nei ginocchi,
per quel nostro pregar sul pavimento.
Oh! te felice che chiudesti gli occhi
persuaso, stringendoti sul cuore
il più caro dei tuoi cari balocchi!
Oh! dolcemente, so ben io, si muore
la sua stringendo fanciullezza al petto,
come i candidi suoi pètali un fiore
ancora in boccia! O morto giovinetto,
anch'io presto verrò sotto le zolle
là dove dormi placido e soletto...
Meglio venirci ansante, roseo, molle
di sudor, come dopo una gioconda
corsa di gara per salire un colle!
Meglio venirci con la testa bionda,
che poi che fredda giacque sul guanciale,
ti pettinò co' bei capelli a onda
tua madre... adagio, per non farti male.
Giovanni
Pascoli
(Da “Primi
Poemetti”)
commosso da tanta emozione nel leggere i delicati fiori del fanciullino
RispondiEliminaUn caro saluto
Grazie Francesco. Pascoli è un poeta che ha dato molto alla letteratura italiana, e soprattutto è stato un poeta dell’ottocento già proiettato nella poesia del novecento. Un innovatore e un profeta. I poeti contemporanei gli devono molto. Condivido il tuo pensiero su Sbarbaro. Un caro saluto, amico mio.
EliminaUna poesia bellissima, già moderna, attuale e purtroppo quasi dimenticata. Pascoli, un grande da riscoprire, ha dato molto alla letteratura italiana.
RispondiEliminabella e commovente
RispondiEliminaVersi bellissimi di una espressività pittorica
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