Già i filosofi idealistici dell’Ottocento avevano postulato una futura "morte dell’arte", intesa nel senso stilistico-classico. Per naturale estensione si può racchiudere all’interno di questa definizione anche la cosiddetta “arte di scrivere in versi”, ovvero la Poesia, la forma più discreta di tutte le arti. Credo si possa sostenere che i primi segni di cambiamento nella poesia italiana si ravvisano in maniera considerevole in Leopardi, a mio avviso, il punto di arrivo e di partenza per una nuova letteratura, i suoi “Canti” formati da endecasillabi e settenari con molte rime sparse, alcune interne, rompono definitivamente con il classicismo aprendo verso sperimentazioni di molti poeti dell’Ottocento, tra cui Zanella e Pascoli, il quale viene indicato da taluni critici come il vero iniziatore virtuale della poesia del Novecento.
Ma la vera innovazione della poesia del Novecento avviene con l’avvento della cosiddetta “poesia pura” di Ungaretti come contrapposizione alla retorica di Carducci e all’estetismo di D’Annunzio, ai quali già precedentemente si erano proposti i poeti crepuscolari come Corazzini e Gozzano, e in una certa misura, il tentativo futuristico, anche se tramutatosi in un fallimento, della poesia di Marinetti.
Ungaretti, dunque, è il vero iniziatore della poesia italiana del Novecento, che contrappose la sua “lirica pura” come esigenza straordinaria da offrire ad un secolo appena nascente: parole pure, quindi, depurate da ogni esteriorità, rese essenziali nella forma grammaticale e poetica, semplificando e a volte sconvolgendo la sintassi, evitando la punteggiatura e financo articoli e congiunzioni, rendendo l’interpretazione intricata e difficile attraverso l’uso di analogie ritenute complesse, che portò addirittura, nel 1936, il critico Francesco Flora a coniare, in maniera ingiusta ed esagerata, il termine letterario “ermetismo”, divenuto poi definizione, nel senso positivo del termine, d’una caratteristica letteraria che ha influenzato tutta la poetica del Novecento e gli inizi del terzo millennio.
Numerosi sono i grandi poeti di questo periodo. La poesia è morta qui? Credo assolutamente di no, la poesia c’è, forse è la società attuale che, priva di punti di riferimento, è distratta dalla frenetica fretta del consumismo imposto dal mercato globale.
Anche alla luce di quanto descritto, di Giuseppe Ungaretti propongo la poesia Sono una creatura, scritta nel 1916 nel pieno fragore della prima guerra mondiale, alle pendici del monte San Michele dove sono scavate le trincee.
SONO UNA CREATURA
Come questa pietra
del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata
Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede
La morte
si sconta
vivendo
La vita di trincea nel paesaggio arido e pietroso del Carso suggerisce ad Ungaretti un’analogia tra la natura desertica che lo circonda e il suo animo devastato dagli orrori della guerra. L’elenco delle caratteristiche della roccia, fondato sulla ripetizione dello stesso costrutto sintattico, ha lo scopo di esprimere, meglio di una descrizione diretta, la situazione di sbigottita aridità sentimentale del poeta. Il suo dolore non può sfogarsi nel pianto perché è soffocato dalla disumanizzazione prodotta dalla guerra. Anche il suono di alcune parole usate da Ungaretti contribuisce a dare alla poesia un tono duro, scarnificato, fino alla straordinaria strofa finale, con l’affermazione ferma e pacata che il sollievo della morte si deve pagare con le sofferenze della vita. (Antonio Ragone)
"Il pianto che non si vede", "la morte si sconta vivendo" sono espressioni divenute poi essenziali ed attuali, magari recentemente riscoperte, anche se scritte un secolo fa.
RispondiEliminaHai ragione e ti ringrazio, Giulia, per quanto hai scritto, e come a volte si è detto, questo dimostra che la poesia italiana del Novecento è nata da questi ed altri grandi versi ungarettiani.
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