Giuseppe Ungaretti ha attraversato la costa della Campania, in particolare, la zona a sud della provincia di Salerno, il Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, i luoghi mitici e misteriosi di una terra ricca di storia e di cultura, gli scavi di Elea, antica città della Magna Grecia, poi denominata Velia dai Romani, Paestum e Palinuro, così chiamato perché è lì che Virgilio colloca l’episodio della caduta di notte in mare del mitico nocchiero di Enea, tradito dal dio Sonno, mentre conduceva i sopravvissuti alla catastrofe di Troia verso le sponde italiane.
Giuseppe Ungaretti ne parla nella sua opera in prosa “Il Deserto e dopo”, scritta tra il 1931 e 1934. ne riporto, per motivi di spazio, solo alcuni significativi stralci.
- Dall’altura di Velia avevo guardato a sinistra Palinuro colla meraviglia che fa sempre una pietra enorme resa aerea dalla distanza. A destra, la foce dell’Alento m’aveva rimesso in mente questa nozione incredibile: che sono i fiumi che portano il sale al mare. E da tutte le parti ero circondato da cespi di genziana.
Il Mastio di Velia ogni tanto torna ad osservarci, e sta a capo di quelle torri mozze di vedetta fatte alzare da Carlo V e che vanno sino a Reggio. Al coprifuoco la voce delle sentinelle da una torre all’altra andava a perdersi laggiù, e tornava: tutta la notte! Terra d’asilo, e terra di preda! È naturale che dove più invitante è la speranza, sia maggiore il richiamo del male, e non sorprende che questi luoghi fossero brama di razziatori, mori o biondi.
Di colpo, il mare in un punto ha un forte fremito: è un branco d’anatre marzaiole che si rimettono in viaggio. Sono arrivate sull’alba, e ora che principia l’imbrunire, volano via. Così fuggì quel dio Sonno sceso a tradire Palinuro mandandolo in malora col timone spezzato. E le onde, ora repentinamente infuriate, le muove forse il nuoto disperato del fedele nocchiere d’Enea? Piccole grotte ora ci fanno compagnia. I cavalloni penetrando in quegli occhi bui, disturbano le pietre, muovendo un rumore d’antiche ossa.
È già quasi notte, e in fila tornano in porto i pescatori d’alici. Raccogliendo le reti, una sera, a una maglia restò presa non la gola d’un pesciolino, ma un cernecchio, una testa d’Apollo… a quel pescatore parve il Battista. L’ho veduta al Museo di Salerno.
La gente, ed è appena notte, è tappata nelle sue case e, fuori, non c’è un lume. Il cielo è coperto, il mare è di piombo, e i monti lo chiudono come un mucchio di lastre dentate di vetro affumicato. Tre oscurità, e silenziose! È la notte assoluta.
Giuseppe Ungaretti
Da “Il deserto e Dopo” – Salerno, il 5 maggio 1932.
Giuseppe Ungaretti ne parla nella sua opera in prosa “Il Deserto e dopo”, scritta tra il 1931 e 1934. ne riporto, per motivi di spazio, solo alcuni significativi stralci.
- Dall’altura di Velia avevo guardato a sinistra Palinuro colla meraviglia che fa sempre una pietra enorme resa aerea dalla distanza. A destra, la foce dell’Alento m’aveva rimesso in mente questa nozione incredibile: che sono i fiumi che portano il sale al mare. E da tutte le parti ero circondato da cespi di genziana.
Il Mastio di Velia ogni tanto torna ad osservarci, e sta a capo di quelle torri mozze di vedetta fatte alzare da Carlo V e che vanno sino a Reggio. Al coprifuoco la voce delle sentinelle da una torre all’altra andava a perdersi laggiù, e tornava: tutta la notte! Terra d’asilo, e terra di preda! È naturale che dove più invitante è la speranza, sia maggiore il richiamo del male, e non sorprende che questi luoghi fossero brama di razziatori, mori o biondi.
Di colpo, il mare in un punto ha un forte fremito: è un branco d’anatre marzaiole che si rimettono in viaggio. Sono arrivate sull’alba, e ora che principia l’imbrunire, volano via. Così fuggì quel dio Sonno sceso a tradire Palinuro mandandolo in malora col timone spezzato. E le onde, ora repentinamente infuriate, le muove forse il nuoto disperato del fedele nocchiere d’Enea? Piccole grotte ora ci fanno compagnia. I cavalloni penetrando in quegli occhi bui, disturbano le pietre, muovendo un rumore d’antiche ossa.
È già quasi notte, e in fila tornano in porto i pescatori d’alici. Raccogliendo le reti, una sera, a una maglia restò presa non la gola d’un pesciolino, ma un cernecchio, una testa d’Apollo… a quel pescatore parve il Battista. L’ho veduta al Museo di Salerno.
La gente, ed è appena notte, è tappata nelle sue case e, fuori, non c’è un lume. Il cielo è coperto, il mare è di piombo, e i monti lo chiudono come un mucchio di lastre dentate di vetro affumicato. Tre oscurità, e silenziose! È la notte assoluta.
Giuseppe Ungaretti
Da “Il deserto e Dopo” – Salerno, il 5 maggio 1932.
Ungaretti ha definito diari i suoi libri di poesia e prosa, anche se più propriamente si tratta di poesia in prosa. L'intera opera ungatrettiana è il giornale essenziale della sua vita, la "Vita di un uomo".
RispondiEliminaAttraverso la sua opera, Ungaretti ci fa scoprire tra realtà e surrealismo uno dei posti più incantevoli della penisola italiana.
RispondiEliminaUna delle caratteristiche del grande Ungaretti è quella di racchiudere in poche scarne parole, talvolta in un'immagine sola, pensieri e concetti vasti e profondi. Così come fa in questa bellissima prosa quando descrive la bellezza della nostra terra.
RispondiEliminaCiao!
Ungaretti, un grande che ha fatto la storia della letteratura!
RispondiEliminaGrazie per i vostri preziosi commenti...
RispondiEliminaIncanto.
RispondiEliminaMari
Mari... mari! cara...
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