Saffo, grande poetessa greca, nacque verso il 628 a. C. nell’isola di Lesbo, a Mitilene. La sua vita è avvolta nella leggenda, bella, suicida per amore. Nei pochi versi giunti fino a noi, ella canta l’amore in tutte le sue sfumature, con potenza, raffinatezza ed eleganza. Fino a pochi decenni fa si conoscevano di Saffo solo pochi frammenti. Oggi, in seguito a scoperte di nuovi papiri, di lei si possiede assai di più: nove o dieci poesie intere e frammenti per circa cinquecento versi; poco per il nostro desiderio di lettura, ma abbastanza per comprendere la grandezza di questa poesia antica. Non vi è poeta che non invochi la morte per un amore deluso, ma Saffo ne fa una costante del suo mondo poetico; l’amore è sentito come atto di sublimazione come sublime è la sofferenza che ne può derivare. In questa lirica che segue, tradotta dal grande Salvatore Quasimodo, emerge infatti l’adorazione dell’amore e la disillusa sofferenza. Saffo ricorda una delle sue compagne dell’adolescenza, forse Anattoria, che l’aveva lasciata per andare sposa in terra di Lidia. I versi della poetessa, oltre la consueta potenza evocativa, acquistano valori drammatici e visivi. Si apre con l’ardente desiderio di essere morta, veramente morta, a causa del dolore causato dal distacco amoroso, che si congiunge all’odore ch’emana la pianta del timo, a gesti affettuosi, ai rituali erotici delle terre ioniche spalmando sulla pelle olio da re, un unguento intensamente profumato di fiori. Anche il bosco ascoltava i loro canti corali, nascente da un amore inesperto ed istintivo delle fanciulle greche amiche di Saffo, che pregna i suoi versi d’una raffinata ambiguità erotica. Il verso finale è sospeso perché la tradizione lo ha tramandato interrotto. (Antonio Ragone)
VORREI VERAMENTE ESSERE MORTA (di Saffo)
Vorrei veramente essere morta.
Essa lasciandomi piangendo forte,
mi disse: « Quanto ci è dato soffrire,
o Saffo: contro ogni mia voglia
io devo abbandonarti ».
« Allontanati felice » risposi
« Ma ricorda che fui di te
sempre amorosa.
Ma se tu dimenticherai
(e tu dimentichi) io voglio ricordare
i nostri celesti patimenti:
le molte ghirlande di viole e rose
che a me vicina, sul grembo
intrecciasti col timo;
i vezzi di leggiadre corolle
che mi chiudesti intorno
al delicato collo;
e l'olio da re, forte di fiori,
che la tua mano lisciava
sulla lucida pelle;
e i molli letti
dove alle tenere fanciulle joniche
nasceva amore della tua bellezza.
Non un canto di coro,
né sacro, né inno nuziale
si levava senza le nostre voci;
e non il bosco dove a primavera
il suono... ».
Traduzione di Salvatore Quasimodo
(da Lirici greci – 1940)
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E' sempre un piacere leggerti,
RispondiEliminaun saluto Tiziana T.
Non ho mai dimenticato...dai tempi del liceo,un ricordo dolcissimo,indelebile...Frammenti dei lirici greci e Quasimodo
RispondiElimina"Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle,
RispondiEliminae ho buio negli occhi e il rombo
del sangue nelle orecchie."
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