29 agosto 2010

UNA VISITA ALLE CASCATE DEL MONTE GELATO.

Ho visitato in questi giorni le cascate del Monte Gelato, in terra etrusca, poco a nord di Roma, nei pressi del lago di Bracciano. La vegetazione, la fauna, l’acqua, purtroppo oggi altamente inquinata, richiama un senso dall’aspetto poeticamente mitologico.
Il poeta ammira e si nutre, e allora può capitare che dopo giorni quei paesaggi stimolano multiformi impressioni nel suo animo.
Così, quando bussa la sera col suo discreto avanzare alla finestra, quando lontano vedo coprirsi di buio la campagna, è allora che spero siano terminati almeno per un po’ le confusioni e i disordini del mondo. Sì, sono convinto che sia giunto il momento di pensare, di ascoltare il silenzio che grida dentro il cuore. Allora sopravviene, forse amica, la malinconia. I ricordi d’una vita riaffiorano, mi raccontano. I pensieri sono come le onde del mare, vanno, vengono, si increspano, spumeggiano, si infrangono, svaniscono. Si vive senza considerare la morte, mentre  gran parte della vita è già passata. È lontana dietro alle spalle. Il tempo di questa vita non è cumulabile e sì è  costretti a spenderlo fino all’ultimo grammo.  Allora è bello rifugiarsi nei sogni, solo lì è la casa dell’unica libertà, solo lì è possibile recuperare forze per continuare il faticoso cammino della vita. I sogni ritrovano tutti gli oggetti smarriti nel corso della vita, sono tanti, come persone perse di viste ormai lontane. E forse allora si comprende che incontrare un vero amico è il più raro dono che si può ricevere in questa vita attraversata da mille incertezze. È come sentirsi al sicuro della solitudine e dell’abbandono, inventarsi la convinzione che avere un posto nel cuore d’un vero amico vuol dire non essere soli.
Ho sempre passeggiato sulla riva del mare raccogliendo ogni volta conchiglie, ramoscelli secchi, giocattoli rotti, raffigurando in quegli oggetti colà depositati dalle onde, la storia dell'umanità con i suoi dolori e le sue infrequenti gioie. 
Forse è davvero inutile compiere lunghi e fantastici viaggi, andare lontano, sempre il più lontano possibile, a visitare spettacolari paesaggi, se non riusciamo a scorgere nella semplicità delle cose le meraviglie del creato. Così, lungo le rive del mare, ho capito che è nella semplicità che non si invecchia mai, morirà la vecchiaia, ma se ne andrà giovane e semplice.
Come l'acqua del fiume, anche io non posso fermarmi, corro tra boschive selve e levigate pietre con il mio pesante zaino sulle spalle verso il mio mare che è lì, aspetta, pronto a fondermi nella sua immensità. (Antonio Ragone)

14 agosto 2010

IL MITO DI ENEA: VIAGGIO NEL MARE DELLA VITA.

In seguito ad una violenta burrasca, provocata da Giunone, Enea e i suoi compagni sono stati sbalzati sulle coste della Libia e generosamente ospitati dalla regina Didone che in quei luoghi stava fondando una nuova città, la futura Cartagine. Per invito di Didone, che conosce per esperienza cosa sia la sventura e l'esilio, Enea narra le dolorose vicende dell'ultima notte di Troia; il fatale e prepotente cavallo di legno, uscito dall'astuta quanto cinica mente di Ulisse è ormai dentro le mura, tutti dormono ignari dell'estrema rovina che pende sul loro capo, ed anche Enea dorme. Ma ad un tratto ecco apparirgli in sogno Ettore, il vero eroe dell'Iliade. Egli è piangente, coperto di sangue e di polvere, con l'aspetto che aveva quando il crudele Achille, forte solo della sua invulnerabilità, lo trascinò via con indegno disprezzo legato alla suo orrida biga. In quel momento s'accresce la grandezza di Ettore, uomo d'amore, e s'annienta per sempre l'immeritato mito di Achille, uomo sprezzante e privo di scrupoli, solo uomo di odio. Nel sogno, Ettore stesso, l'eroe pur così forte e magnanimo, supplica Enea di fuggire, ché nulla ormai si può più fare per la sventurata patria; fugga dunque e rechi con sé le cose sacre, prenda con sé in Penati, gli dèi tutelari della patria, e in un'altra terra al di là del mare fondi una nuova città, cui è riservato un grande futuro. Così Ettore stesso, mentre il fuoco distrugge la sua amata città per mano nemica e vile, predice e consacra l'alta missione di Enea. La regina Didone ascolta commossa il tragico racconto di Enea, se ne innamora intensamente, ed offre ad egli e alla sua gente di restare e formare insieme un solo popolo. Enea acconsente, è stanco di navigare gli inquietanti mari, desidera sollievo al suo inquieto errare nei meandri di se stesso. Ma il mare, attraverso Giove, lo richiama ed egli obbedisce e parte; altre tempeste lo aspettano per affrontarlo, altri naufragi. Ma egli sempre il viaggio riprende per approdare finalmente alla foce del Tevere, ecco la meta.
Allora come sempre.



"La barca solitaria
in mezzo al mare,
cerca riparo in darsena
il fanciullo;
poi, pur nella tempesta
il suo viaggio riprende,
ché il mare il suo colore
ha messo negli occhi suoi".

Antonio Ragone
(Da “Colloquio con la perduta madre” in “L'isola nascosta” - Edizioni Akkuaria 2007)

9 agosto 2010

ANGIOLETTA FACCINI: E VOLO ALTO.


Ma si sa, noi siamo soggetti a quegli attimi di grande gioia o meglio di vera felicità o di grande sconforto! Non lo siamo, ma agli occhi degli altri è come se fossimo volubili o instabili nell'umore! E spesso veniamo fraintesi...



E volo alto

...E volo alto! come l 'albatros!
scendendo al suolo tocco la Vita
volando alto l'osservo nelle sue pieghe infinite...
senza pretese
che i turbamenti sono il mio cibo
Volo alto come l'albatros
in un vortice d'amore
con questa vita.

8 agosto 2010

© Angioletta Faccini

5 agosto 2010

BARTOLO CATTAFI: LA VITA CHIUSA "NEL CERCHIO".


La poesia di Bartolo Cattafi, nato a Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina il 6 luglio 1922 e morto a Milano il 13 marzo 1979, risente molto del paesaggio mediterraneo, della terra bruciata dal sole, delle distese  piante degli ulivi, delle case di bianca calce, del mare. Questo paesaggio così descritto si identifica con una situazione esistenziale arida e inquieta e culturalmente ricchissima, articolata in un clima con vaghe ascendenze di natura ermetica. Egli sceglie il suo esilio non lontano da se stesso, anzi chiudendosi dentro il cerchio della vita e della morte, è questa la sua meta, inquieta e amara, la condizione umana chiusa in una circolarità dove tutta l’esistenza è già compiuta. Il pessimismo cosmico di Cattafi, di chiara matrice leopardiana, è, in questa poesia del 1964, ancora proteso negli esterni paesaggistici dei suoi ricordi lontani, fatti di luci del crepuscolo, di mari sconosciuti, di navi e di conchiglie che si chiudono comunque nel buio d’una stanza divenuta prigione, d’uno stato d’animo dal quale più nulla è possibile inventarsi per uscirne, e là convivere con la diffidenza verso il mondo esterno, legandosi ad un contorto filo che lega morti e vivi. (Antonio Ragone)
 
 
Nel cerchio

Qui nel cerchio già chiuso
nel monotono giro delle cose
nella stanza sprangata eppure invasa
da una luce lontana di crepuscolo
può darsi nasca un'acqua ed una nebbia
il mare sconosciuto e il lido
dove per primo devi
imprimere il tuo piede
calando dalla nave
consueta, transfuga
che il rombo frastorna
in corsa nella mente,
lungo le belle curve di conchiglia.
Sarà prossimo il centro:
là s'appunta il nero
occhio, la nostra
perla di pece sempre in fiamme,
serrata tra le ciglia,
che per un attimo, in un battito ribelle
intacca il puro ovale dello zero.

Bartolo Cattafi

1 agosto 2010

ANGIOLETTA FACCINI: E VOGLIO ANDARE VIA.

È una caratteristica della poesia del Novecento la voglia di volere andar via, divenire poeta dell’esilio e sentirsi comunque e ovunque sempre esiliato.

 

Questa tua poesia, Angioletta, ne è sublime certezza.

(Antonio Ragone)




E voglio andare via
 

Ti vedo
ovunque io sia
ti sento
ovunque io sia

la tua aura m’accompagna
per le vie o per casa
con alito grave dell’assenza

e voglio andare via
da questa casa che
solo dolore m’ha arrecato

e voglio andare via
via lontano

per ricordarti
in un’aura nuova
per ricordarti con amore
diversamente da quel ch’è ora
la tua aura non sia così intrisa
ancora di sortilegio


30 luglio 2010

© Angioletta Faccini
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