Ecco, l’Orto degli Ulivi, il luogo della tragedia della vita: gli smarrimenti e le delusioni, il dubbio e la paura, i momenti di sconforto al di fuori della speranza e del coraggio di lottare contro le avversità e i fallimenti dell’esistenza umana, dove, più che vivere, forse già sopravvivere è difficile e così facile è morire.
Quante volte gli Apostoli, pur condividendo la propria vita con Gesù, hanno avvertito il tacito e gelido tremito della paura!
E quante volte hanno percepito il pesante senso della stanchezza fisica e morale!
Gesù sente la loro sofferenza, sa che hanno bisogno di essere consolati ed incoraggiati contro la minaccia della tempesta marina, quando le onde li travolgono, e non capiscono perché quel mare che faticosamente dà loro da vivere allo stesso tempo, in un attimo, dà loro la morte: “Non ti importa che moriamo?” (Marco 4,38).
Nel mondo medio-orientale in cui vivono Gesù e gli Apostoli, allora il mare in tempesta era la grande metafora della presenza di potenze tenebrose e indomabili avverse al bene degli uomini.
Ora, in quel preciso momento storico, gli Apostoli, in quella notte tempestosa e inquietante, vissero un’esperienza di una incontenibile paura, si sentirono in preda ad un potere misterioso, esposti all’inevitabile fine, sottoposti alla furia degli elementi, inermi piccoli frantumi, frangibili gozzi destinati ad essere inesorabilmente inabissati per sempre.
L’Orto degli Ulivi rappresenta la vita, quindi questo luogo si può definire l’inizio della passione degli Apostoli, della loro tragica speranza della vita, che per naturale estensione è la passione di tutta l’umanità.
II
Notte, profonda notte, sopra l’orto,
ombre fluttuanti tra fumanti torce,
ci sfiora un turbinio di sentimenti
nel nostro sonno che è inquieto e vile.
Il vento passa sui distesi capi,
e tra i capelli un brivido ci lascia
di schiavitù d’umane emozioni;
sospinge le nubi a velar la luna
ché l’universo resti così immoto.
Ecco, è tra noi il tragico mistero:
forse è preghiera anche la paura
dentro un silenzio doloroso e cupo.
Antonio Ragone
(Da "La Passione degli Apostoli", Edizioni Akkuaria 2008)
Nell’orto degli ulivi tutta la nostra finita Umanità.
RispondiEliminaE poi se se riusciremo a salire sull'albero di sicomoro come Zaccheo, il Cristo sarà il nostro Cireneo.
Mariaconcetta
Lì è presente e concreta la nostra fragilità. Zaccheo era basso di statura, salì sul sicomoro per vedere il Cristo che passava. e a tal proposito mi piace quel che tu dici, inverti la situazione, ed è vero, Cristo è il Cireneo che aiuta a portare la nostra croce.
RispondiEliminaGrazie,per un motivo di riflessione.................
RispondiEliminaAntonio, questo tuo libro mi ha fatto molto rifettere. Grazie per quello che ci doni.
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