“(…) Una poesia, quindi, gridata, mai sussurrata e mai disperata, nel tormentato deserto della vita, una poesia che vuole rivendicare a sé tutti gli elementi primordiali dell’umanità, senza far sconti a niente e a nessuno (…)”.
Sono queste le parole con cui si può sinteticamente compendiare la
poesia di Antonio Ragone, illustre artista letterato amalfitano, il cui afflato
artistico è sicuramente corposo e intriso di elevati messaggi universali.
La sua forte propensione al gesto poetico ha origine assai lontana,
bisogna principalmente ricercarla nell’atmosfere calde e sanguigne della sua
terra natìa, dove il protagonista incontrastato è il mare. Ed è proprio in
questo rapporto simbiotico che si ritrova la scintilla che ha dato vita al suo
amore per l’arte.
Nella sua poesia vi sono segni evidenti di una ricerca originale,
tesa sempre al recupero di quei valori personali che si sono smarriti
nell’ideologie false e ricche di egocentrismi, una carica d’energia vitale e
positiva.
Questo slancio frizzante e pieno di segnali universali si affianca
sempre, quasi fosse un ingranaggio imprescindibile, al suo mare.
È “suo”, il possessivo perché è proprio suo: lo sente dentro, che
scorre palpitando e si rivela in tutte le sue variegate forme presentandosi in
tutta la sua spaventosa maestosità.
Nei versi di “La spiaggia dei vecchi” se ne ha una forte prova:
Sulla spiaggia che
possiede il privilegio
d’aver senza spesa tutte
le cose
vomitate con conati d’onde
da un mare solitamente
avaro
di tutte le sue
illegittime conquiste
ben ricoverate nelle
voragine delle sue prigioni…
e ancora qualche verso di
seguito
Forse alla stanza un lume
a petrolio
rischiara a stento il
palpito dell’alba grigia
che appaga l’indifferenza
dell’indugio
d’affondare i piedi
sull’affogata rena
d’un mare non ancora
placato.
Ora non fa paura a questi
vecchi senza pace
riprendersi tutti i
rifiuti rubati e tanto attesi.
Proprio in queste semplici parole, concatenate in un messaggio
forte e allarmato, che il poeta pone l’accento del suo grido d’amore.
Il participio passato con valore aggettivale “vomitate”, nella sua
accezione lessicale non certamente positiva, risponde ad una vera
preoccupazione dell’autore nei confronti di un mare colpito dall’ignoranza
dell’uomo e, non a caso, qualche parola prima va ad usare volutamente il
sostantivo “spesa”, quasi volesse far intendere al lettore che il mare sia
diventato un super mercato, in cui ci si trova di tutto. E se anche il
significato dell’intera strofa rivela altresì la capacità del mare di celare tesori
nelle sue profondità e in seconda battuta poi rigettarteli a suo comodo, tra le
righe, resta evidente un messaggio di disagio.
Ma il poeta non si ferma, va oltre e, infatti nella chiosa finale,
ci descrive un gioco millenario, che perdura in modo matematico… Il marinaio,
pur temendo l’ira e la possanza distruttiva del mare, è costretto da un bisogno
di sopravvivenza a sfidare le onde per andare a raccogliere i doni che lo
stesso gli offre. È un rispettoso rapporto, dove il nauta sa che, nella
generosità, troverà il suo compenso. Il mare, quindi, diventa stimolo per
emozionare, per ritrovare affetti lontani e, a volte, dimenticati ma mai
sopiti, per analizzare le proprie paure e per conservare sensazioni dal gusto
pieno, in cui odori, gesti, parole, atteggiamenti sono la vita dell’artista…
Di altro registro è “Filastrocca della luna piena”:
E stanno tutti ad
aspettarmi
Lungo il margine del fiume
C’è la luna, c’è la luna
Che stanotte è luna piena.
Cercherò d’esser presente
Come sempre in questa
notte (…)
In questi primi versi, un’attesa, che perdura in ambito quasi
sognante, si fa largo nella memoria appesa al tempo che scorre inesorabile e
nel bagaglio delle reminiscenze, con lento procedere, prendono corpo immagini
intense, palpitanti, che di certo sono appartenute all’artista e che ora si
delineano lungo la dorsale del ricordo appagante…
E più avanti:
(…) Cercherò di far ritorno
Lungo il margine del fiume
Com’è stato tante notti
Dove abbiamo sospirato
Io per primo io per primo
D’averla tutta intera
questa luna.
Ma chissà dovessi
ritardare
Vi prego voi restate ad
aspettare
Ci sarà notte come questa
Altra luna luna piena.
Qui, invece, la sua carica nostalgica diventa palpabile e la gioia
delle serate passate insieme agli amici e agli affetti più preziosi prende
spazio divenendo introspezione elevata, l’autore, in questo andamento
temporale, sembra quasi che voglia rievocare quelle emozioni d’allora, come se
le stesse nutrano ancora, a distanza di molto tempo, il suo cuore.
E forse è proprio così, da quelle reminiscenze non si è mai
staccato, allontanato, non ha mai potuto farne senza, anche perché sono la sua
vita… Sono istantanee che tiene nel cassetto e, all’uopo, le fa ritornare a
galla attraverso la poesia…
Tra le spire della sua poesia si percepisce, concreto più che mai,
un amore spassionato nei confronti della sua terra d’origine, è un bisogno
impellente, un’esigenza vitale che s’espleta come un ampex memoriale, la cui
forza diventa messaggio universale.
È la forza del suo mare a rendere il suo afflato elegiaco forte,
passionale e melanconico. In “L’assenza”, infatti, appare chiaro sullo sfondo
nebbioso di una serata o un giorno, poco importa, il suo bisogno di nutrirsi
ancora di ciò che è stato fondamentale per la sua crescita interiore e, in una
presentazione oltremodo marittima, fa una riflessione carica di tristezza ma al
contempo lucida e razionale:
Percepivo l’odore della
nebbia nel respiro,
nessun lampione pur fioco
illuminava la fanghiglia.
Ero solo, e se qualcuno
avessi mai incontrato,
saremmo stati – io e lui –
ancor più soli. (…)
In questa considerazione, come si appalesa dal tono dimesso dei
versi, si coglie bene la tristezza del suo pensare, evocata dalla descrizione
scarna ma puntuale del palcoscenico su cui il suo razionalizzare si muove.
In quelle parole, equilibrate, precise, lessicalmente efficaci,
l’ansia prende corpo evidenziando tutta la sua dirompente gravità, si rende
conto consapevolmente che quei momenti non ci sono più, quegli attimi così
avvolgenti non potranno più essere vissuti, ma, nonostante ciò, al solo
evocarli il cuore riprende vita…
A questo punto, è logico ipotizzare che la poetica di Ragone sia
vissuta e metabolizzata come un periplo avvincente, appassionante, dove il
mezzo usato non è un battello o un legno galleggiante, ma bensì la memoria.
In tale viaggio i colori, le emozioni, la consapevolezza, i pareri
celati e il variegato spettro dell’illusioni diventano inevitabilmente mosaico
caldo di un animo sensibile, ove si rivede, esaltato in piena luce, uno
sviluppo interiore.
Un tragitto preciso, a volte anche tortuoso, problematico ma sempre
indirizzato alla ricerca dell’accrescimento personale e in seconda istanza
persino universale.
Ne “I morti non vanno mai via”, ove la narrazione s’avvia
lentamente, si può rilevare come Ragone, attraverso un linguaggio e una
costruzione narrativa apparentemente semplice, desideri in qualche modo
indirizzare subito il lettore verso un ambito puramente introspettivo, dove le
emozioni risulteranno protagoniste incontrastate.
Grazie, infatti, ad un flash-back onirico egli entra immediatamente
nel vivo della storia.
Quel bimbo, descritto con forte sensibilità autobiografica, diventa
un mezzo per descrivere uno scenario preciso: un palcoscenico su cui, ancora
una volta, si vedono pienamente passaggi di un vissuto di una terra cui
l’autore non può distaccarsi e, ancor di più, non vuole in nessuna maniera
lasciare o abbandonare…
(…) Un bambino correva
lungo la stradina fitta di fichidindia sotto piante di quercia. Al di là del
muretto che delimitava la stradina cespugli ed ortiche erano nati sotto alberi
di carrube, e più giù ancora, la roccia che scendeva sino al mare, la tirrenica
roccia su cui esili agavi s'innalzavano. Il suono dell'estate era la cicala
nascosta forse tra i rami del centenario pino e il cinguettio di passeri
irrequieti. In questo schietto gioco la corsa del bambino era la pagina vitale
più armoniosa, il movimento che spinge l'uomo a fare la sua storia. (…)
Si ha la netta certezza che l’amore per quelle zone alimenta il suo
procedere e che i ricordi saranno il punto nodale di tutta la narrazione.
I protagonisti, in un alternarsi di sensazioni forti e tenui,
risponderanno o, almeno tenteranno di farlo, ad un’esigenza dell’autore stesso,
cioè quel comprendere se la forza evocatrice della memoria può sostenere un
amore mai svanito…E sia Angela che Adele sono la risposta.
In entrambe, in modo differente per sviluppo e modalità, vi è una
consapevolezza, una sicurezza che, nonostante tutto, la vita debba essere
vissuta pienamente e che nei ricordi, originati da accadimenti segnanti per il
loro contenuto significativo, vi sia una sorta di medicamento salutare…
Ragone, con saggia delicatezza, sembra dirci che le memorie, seppur
a volte drammatiche, tragiche, animano la vita e con esse si deve andare avanti
e se ne ha la conferma ulteriore nella conclusione della storia, quando, con
delicato disinganno, ci ricorda quanto i morti non ci lasciano mai…
Per esemplificare, la morte è vista come grimaldello per entrare
nell’animo umano e in “L’ultima poesia”, altro racconto di una forte carica
simbolica, se ne ha una riprova tangibile.
In questo racconto, dai toni mestamente noir, si gioca proprio su
questo tentativo di varcare la soglia dei sentimenti, di cercare di giungere
fino all’estremo e di portare chi legge verso un confine delicato, insicuro,
dove le azioni si conducono solo per effetto di una soluzione tragica.
La morte del poeta rappresenta, sovvertendo e esasperando i
fattori, una liberazione da quei vincoli a cui quotidianamente siamo
sottoposti, è una sorta di rottura attraverso la quale si arriva alla libertà
eterna. In uno strano gioco del destino la morte attua il suo disegno e per
quanto sia tragico, ingiusto e terribilmente triste bisogna accettarlo perché
fa parte della vita.
Questo è tra le righe il messaggio che ci vuole trasmettere
l’artista.
Forse, dopo questa esegesi lievemente indicativa, si può arrivare
ad affermare che Ragone, in tutta la sua artisticità appassionata e al contempo
celebrativa, voglia in qualche modo riportarci all’importanza educativa delle
memorie . Puntualmente, in un passo de “Il gatto d’un regno lontano”, sotto
forma narrativa, lo ribadisce con forza convincente, quasi volesse marcarlo a
fuoco nel nostro sentire:
(…) essendo i ricordi
custoditi in qualche luogo del nostro essere, non sono vicini, ma, addirittura,
sono noi stessi, il nostro pensiero, il nostro modo di comportarsi, le nostre
contraddizioni.(…).
Parole che raccolgono tutta la centralità del suo gesto artistico e
che, insieme alla sua terra e al suo mare, danno la misura concreta della sua
forza espressiva…
Francesco Anelli
Dopo questa bellissima interpretazione della poetica di Ragone da parte di Francesco Anelli,a me non rimane altro che ribadire il mio modesto parere,in base al quale è fortissimo il legame che lega Antonio al PROPRIO mare.
RispondiEliminaPer lui, dimenticare la terra natìa è impossibile:sarebbe come lasciare una conchiglia sulla spiaggia:le onde la porteranno via,ma nel mare ci sarà sempre.
Carissimo Antonio, sono felice di conoscerti da tanto tempo...
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