27 agosto 2009

OMAGGIO AL POETA GIORGIO CAPRONI



Giorgio Caproni nacque a Livorno il 7 gennaio 1912 ed è morto a Roma il 22 gennaio 1990. Trasferitosi con la famiglia a Genova, dopo aver fatto il violinista e l’impiegato, si è dedicato all’insegnamento nelle scuole elementari in Alta Val Trebbia; nel 1939 si e stabilito a Roma, dove ha proseguito la sua professione di insegnante elementare. Di lui vi propongo la poesia “Parole (dopo l’esodo) dell’ultimo della Moglia”, poesia complessa densa di ossimori e anafore, che mi ha fatto molto riflettere sull’opportunità di qui pubblicarla, anche per la sua lunghezza (volevo pubblicarne alcuni brani) ma non m’è parso giusto, dal momento che la considero la più completa ai fini di un congrua conoscenza della poesia caproniana. Nella sua poesia ricorre la metafora del viaggio, dove si misura con il nulla “concreto”, dando ad esso una faccia e una voce, un viaggio alla ricerca del senso della vita e del senso di Dio, nel quale ripropone con dolore presenze di luoghi e di persone, laddove i residui del passato assumono diritto d’esistenza.
“È nella stessa paura di non poter capire e nella stessa esigenza di conforto, dove si svolge il dramma teologico del poeta e dell’uomo Giorgio Caproni, che affida la propria inquietudine, scaturita da una ricerca, da una caccia a Dio, che egli vuole scorgere con tutta la sua passione come un volto caro, ad un intenso grido di preghiera: “Ah, mio dio. Mio Dio. Perché non esisti?”.” (Antonio Ragone, da “La Passione degli Apostoli” - Akkuaria 2008).
PAROLE (DOPO L’ESODO) DELL’ULTIMO DELLA MOGLIA

(La Moglia è una delle zone montane dell'Alta Val Trebbia, delineata dall’itinerario del fiume Trebbia, dalla Liguria alla Emilia-Romagna, dove affluisce nella parte destra del Po).


Chi sia stato il primo, non
è certo. Lo seguì un secondo. Un terzo.
Poi, uno dopo l’altro, tutti
han preso la stessa via.
Ora non c’è più nessuno.

La mia
casa è la sola
abitata.

Son vecchio.
Che cosa mi trattengo a fare,
quassù, dove tra breve forse
nemmeno ci sarò più io
a farmi compagnia?

Meglio – lo so – è ch’io vada
prima che me ne vada anch’io.
Eppure, non mi risolvo. Resto.
Mi lega l’erba. Il bosco.
Il fiume. Anche se il fiume è appena
un rumore ed un fresco
dietro le foglie.

La sera
siedo su questo sasso, e aspetto.
Aspetto non so che cosa, ma aspetto.
Il sonno. La morte direi, se anch’essa
– da un pezzo – già non se ne fosse andata
da questi luoghi.

Aspetto
E ascolto.

(L’acqua,
da quanti milioni d’anni, l’acqua,
ha questo suono
sulle sue pietre?)

Mi sento
perso nel tempo.
Fuori
dal tempo, forse.

Ma sono
con me stesso. Non voglio
lasciar me stesso – uscire
da me stesso come,
la notte, dal sotterraneo
il grillotalpa in cerca
d’altro buio.

Il trifoglio
della città è troppo
fitto. Io son già cieco.
Ma qui vedo. Parlo.
Qui dialogo. Io
qui mi rispondo e ho il mio
interlocutore. Non voglio
murarlo nel silenzio sordo
d’un frastuono senz’ombra
d’anima. Di parole
senza più anima.

Certo
(è il vento degli anni ch’entra
nella mente e ne turba
le foglie) a volte
il cuore mi balza in gola se penso
a quant’ho perso. A tutta
la gaia consorteria
di ieri. Agli abbracci. Gli schiaffi.
Alle matte risate,
la sera, all’osteria
dietro alle donne. Alte
da spaccar le vetrate.

Ma non m’arrendo. Ancora
non ho perso me stesso.
Non sono, con me stesso,
ancora solo.

E solo
quando sarò così solo
da non aver più nemmeno
me stesso per compagnia,
allora prenderò anch’io la mia
decisione.

Staccherò
dal muro la lanterna,
un’alba, e dirò addio al vuoto.

A passo a passo
Scenderò nel vallone.

Ma anche allora, in nome
di che, e dove
troverò un senso (che altri,
pare, non han trovato),
lasciato questo mio sasso?

24 agosto 2009

ONDADIGRANO: IL MONDO DEL MITO

Il mondo del mito, come ho scritto in parte nella mia presentazione, è il mondo dell’anima, in cui possiamo trovare lo specchio del nostro cammino interiore. Ulisse, o il cammino dell’uomo, in generale; Demetra, una delle tante forme della Dea Madre, e Kore, o Proserpina, sua figlia, appartengono al cammino di ogni donna, nel suo ruolo di figlia e di madre, nell’impegnativo cammino di “fare i conti” con la propria madre reale, o con ciò che di essa ha interiorizzato, e diventare anche “madre di sé stessa”. Nella mia ricerca il contatto con la natura, con la Terra, con gli alberi, hanno rappresentato un grande sostegno. Questa è una delle poesie pubblicate da Akkuaria , momento di questa ricerca.


Kore


Ti cerco e ti chiamo

Madre

Dei giorni bui

Madre oscura

Dei lutti e delle perdite.

Madre nera.

Madre profonda

Come radice

Aspiro e aspiro linfa nel buio più segreto

Da trasformare in luce



Eukaristès

Madre


Ti ho trovata ovunque

Nella quercia

Nel faggio

Nell'ulivo


Figlia nata

Dal tuo tronco

Carne viva di legno

Da te sale il fuoco

Profondo


Madre

Donna

Maga

Sacerdotessa bianca

Nel chiaro di luna


Mi hai sorriso tra le acque di Samotracia

Nelle danze del tempio

Nel fuoco di quella sera

Cosa c'è per la donna?


Ondadigrano


16 agosto 2009

ANTONIO RAGONE: UNA SERA D'AGOSTO





UNA SERA D’AGOSTO



Nel tranquillo aere d’una sera agostana
scorsi il lucore delle perseidi
precipitare nell’ondeggiante verde mare

dei colli castellani, svanire tra i vitigni.

Guaivano i cani alla chiara luna
dalle vicine gore si levava un flebile
gracidìo di rane nascoste al buio
mentre inconsapevole raccoglievo quelle lacrime.


Antonio Ragone
(Da I passi sul sentiero sconosciuto - liberidiscrivere.eu -luglio 2009)

10 agosto 2009

ONDADIGRANO: "DELLA POESIA"

Nella mitologia greca, Calliope è la musa della poesia epica, considerata la Musa di Omero, e quindi l’ispiratrice dell’Iliade e dell’Odissea.Mi riallaccio a quanto scritto nella mia “presentazione” e a quanto in parte sta serpeggiando tra le righe dei vari post: poesia, senso della poesia, Ulisse…
Ho continuato a riflettere sul mio interrogativo, il senso della poesia, e concordo con quanto scritto da Silvana nel suo post, e anche da Antonio sul far poesia…
Quando sublimiamo la nostra sofferenza o i nostri sentimenti in qualcosa in cui anche gli altri possano riconoscersi, e andare oltre il nostro individuale, quando i nostri versi “scaturiscono dall’anima” come ha scritto Silvana, ecco che allora prende corpo qualcosa che ci trascende.
Penso al mondo omerico… (sto rileggendo l’Odissea) la poesia, ispirata dalle Muse, che tutto conoscono, nasceva da uno spazio sacro, (per noi l’anima), era una forma sublime di conoscenza… il poeta era anche il vate… i suoi occhi sapevano vedere oltre.
Tradotto con il nostro linguaggio attuale potremmo dirla una conoscenza intuitiva, la conoscenza della pancia, o dell’emisfero destro, che con un’immagine densa, pregnante, fatta di poche parole, esprime ciò che il linguaggio discorsivo, spiegherebbe diluendo quella forza che va diritta ai nostri strati più profondi.
Ulisse, la sua metafora, la poesia… la capacità della poesia di stabilire connessioni immediate, connessioni di senso là dove apparentemente non ne vedremmo… alle radici della nostra cultura, i poemi omerici… il mare e i suoi “sentieri” dove l’uomo che è terra (humus) si confronta, e incontra sé stesso.
(Ondadigrano)

2 agosto 2009

ANTONIO RAGONE: AFA



AFA

È lontano il mare ora più che mai
in quest’afa d’agosto,
se non ritrovarlo lontano
nuotando verso l’orizzonte
senza fermarsi mai.

Solo così lo riposseggo sano,
tanto che vale
se nella brezza salata del maestrale
non assaporo l’effluvio boschivo
di isole celate nella sua stessa immensità.





(Da "I Passi sul sentiero sconosciuto" pubblicato luglio 2009)

1 agosto 2009

ONDADIGRANO: L'ITACA DI KOSTANTIN KAVAFIS

Forse perché certe sensazioni, certe metafore le abbiamo dentro, forse perché ispirate e alimentate da quel cielo e da quei colori, la poesia Ulisse di Umberto Saba mi richiama immediatamente Itaca di Kavafis.









Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che la strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
I Lestrigoni e i Ciclopi
o la furia di Nettuno non temere,
non sarà questo il genere di incontri
se il pensiero resta alto e un sentimento
fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo,
né nell'irato Nettuno incapperai
se non li porti dentro
se l'anima non te li mette contro.

Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d'estate siano tanti
quando nei porti - finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
negli empori fenici indugia e acquista
madreperle coralli ebano e ambre
tutta merce fina, anche profumi
penetranti d'ogni sorta; più profumi inebrianti che puoi,
va in molte città egizie
impara una quantità di cose dai dotti.

Sempre devi avere in mente Itaca -
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull'isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
sulla strada: che cos'altro ti aspetti?

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso.
Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

Kostantin Kavafis


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