18 giugno 2012

IL FANCIULLO E IL MISTERO DELL’ORIZZONTE.


Un fanciullo s’affaccia alla finestra e vede il mare, tempi lontani. Il mare non lo scoprirà mai perché l’aveva subito conosciuto. Una sconfinata distesa d’acqua che gli dà subito il senso d’un infinito che non si può comprendere. È una sera di giugno, il mese di san Giovanni Battista, il santo patrono del paese. In cielo palpitano le stelle, ne sente i battiti seppur velate dalle nubi, e nel mare tremano le onde, sembra che un dialogo si svolga tra la terra e il cielo, giacché il fremito del mare risponde al richiamo delle stelle, il mormorio delle acque è come un sospiro, l’alito del vento come una voce. Il fanciullo getta un ponte che sovrasta il mare fin dove egli finisce, è l’orizzonte. L’orizzonte! Dove conduce? Non sa rispondere, preferisce fermarsi davanti al mistero delle cose, davanti all’ignoto che già lo tormenta profondamente.

15 giugno 2012

LE POESIE DEL DOLORE DI ANGIOLETTA FACCINI.

Cara Angio,
Quando viene a mancare una persona amata,
è il dolore a tenerci compagnia.
Condividerlo fa bene, almeno un po’
lenisce le ferite del cuore,
si avverte che forse si è meno soli,
per riprendere il cammino.

Ciao, Antonio.



Eravamo una cosa sola

Eravamo una cosa sola
nel sereno e nella tormenta
nel silenzio e nel rumore

Eravamo una cosa sola
nel giorno e nella notte
in ogni stagione

Eravamo una cosa sola
nel passato nostro
in quel presente scompigliato

Eravamo sempre insieme
anche quando ero sola
ci aspettavamo sempre
anche dopo la bufera
bastava uno sguardo per capire
cosa c’era.

30 maggio 2012


Ormai

Quanti furono i giorni di pianto?
tanti, tanti!

Non credevi tu che t’amassi?
Non credevi tu che soffrissi dinanzi al tuo silenzio?
Ah!
Caparbio fosti malgrado
la mia presenza ti confermasse sempre
la mia dedizione
ma ormai avevi scelto di lasciarmi
un grande peso
un grande dolore
ormai avevi emesso la tua sentenza:
darmi la tua morte

30 maggio 2012


Impazzirò!

Te lo chiedo ancora
stammi vicino
ch’è fortissimo questo dolore
insopportabile nel suo trascorrere nel tempo
m’attanaglia  questo dolore
nel petto il mio cuore è soffocato  dall’affanno
delle domande senza risposta
impazzirò!
Impazzirò al ricordo della tua sofferenza
impazzirò al ricordo della mia
impotenza

Ti cerco ma
non ho tua visione
Ti cerco e…
rispondono le lacrime

30 maggio 2012


© Angioletta Faccini

10 giugno 2012

SALVATORE QUASIMODO, ORA CHE SALE IL GIORNO.


In questa poesia si esalta la sacralità della memoria. È sacra la memoria nei poeti, perché essa rappresenta il luogo più che privilegiato dell’ispirazione. Oggi noi siamo così perché conserviamo in noi ogni attimo della vita vissuta che, in ogni momento, può divenire, attraverso l’utilizzo di figure retoriche, motivo di confronto con il mistero dell’esistere, delle tante domande sempre disattese e il conseguente turbamento che sfugge al controllo della logica e scivola inevitabilmente nell’inquietudine del vivere. Per Quasimodo, in questa poesia, la memoria è l’unico varco aperto verso la solitudine, quando, al cospetto del presente, avverte irrimediabilmente l’urto del passato, vissuto in terra di Sicilia, ricchissima  di storia  e di mito aperto ai richiami innumerabili della grecità. Il Poeta trasporta in questa poesia,  come in altre, ove chiaro se n’avverte l’eco,  questa pregnanza di cultura.

Un’altra notte  è passata, ai primi albori del giorno la pallida luna tramonta nei canali d’acqua che attraversano Milano. I prati della  Lombardia sono tutti verdi,  il mese di settembre è ancora vivo: vola così la nostalgia alla sua terra del sud e ricorda la stessa vivacità di quelle valli a primavera. Un amore lontano riaffiora alla sua memoria, un volto di donna per la quale ha lasciato la lieta compagnia e ha nascosto il suo cuore tra le mura di casa, perché la solitudine alimenta e aiuta i ricordi. È solo un attimo, il ricordo urta contro la realtà, quel tempo è lontano, come lontana è la sua terra. La donna amata in gioventù è ora più lontana della luna che si è come dileguata alle prime luci del giorno, in quell’ora quand’egli sentiva i piedi dei cavalli battere sulle dure pietre della vita. È questa la sua considerazione definitiva: un varco che s’era appena aperto, ora con amarezza si chiude nella sua triste condizione di esiliato.

Ho fatto accenno all’utilizzo delle figure retoriche nella poetica, ne trovo tante in questa poesia quasimodiana, ne cito qualcuna:
-         la luna che si scioglie è una metafora del suo tramonto;
-         lenta fa allitterazione con la luna, per rafforzarne il contatto;
-         come nelle valli del sud a primavera è similitudine;
-         ho nascosto il cuore dentro le vecchie mura è la metafora del desiderio di solitudine;
-         più lontana della luna è iperbole tesa a indicare l’irrecuperabile passato rimasto ormai solo un ricordo;
-         la chiusura della poesia è affidata all’onomatopea, che in questo caso, mediante l’uso di appropriati elementi lessicali, crea l’imitazione fonetica; per cui, leggendo il verso, pare davvero sentire il forte rumore del  piede dei cavalli che batte sulle pietre.


Ora che sale il giorno

Finita è la notte e la luna
si scioglie lenta nel sereno,
tramonta nei canali.

È così vivo settembre in questa terra
di pianura, i prati sono verdi
come nelle valli del sud a primavera.
Ho lasciato i compagni,
ho nascosto il cuore dentro le vecchie mura,
per restare solo a ricordarti.

Come sei più lontana della luna,
ora che sale il giorno
e sulle pietre batte il piede dei cavalli!

Salvatore Quasimodo

1 giugno 2012

CAVTAT, SESTA EDIZIONE DELL' EPIDAURUS FESTIVAL.

Epidaurus Festival: il luogo dove  l’universo e l’universalità s’incontrano.


La cultura ha un compito importante nell’universalità del mondo. Un mondo sempre più distratto da effimere apparenze e inquinato proprio nella sua intrinseca natura, dove l’umanità viene privata della sua vera essenza. La cultura è semplicemente la presenza fattiva degli uomini nell’infinito dell’universo, un globo dove il mare si fonde con la terra e il cielo con le stelle, che, elevandosi dalla linea più lontana dell’orizzonte, si muovono lassù, sempre nello stesso punto della memoria umana. Gli uomini dimenticano spesso che non solo vivono nell’universo, ma in realtà ne sono la parte più vitale e integrante. L’Arte, nelle sue varie espressioni, ha proprio il compito di sublimare la realtà, elevandola e ricondurla alla sua vera dignità. La realtà, così sublimata, avvicina l’uomo alla sua vera natura e quindi a Dio.
Dopo questa premessa è con vero piacere che accolgo la notizia della manifestazione dell’ Epidaurus Festival, giunto alla sesta edizione, grazie all’impegno della pianista e poeta Ragusea di fama internazionale, Ivana Marija Vidovic. Portare l’Arte al cospetto della realtà non è facile, so quanta fatica fisica, mentale e soprattutto morale, impegna l’artista per costruire, coordinare e portare a compimento un’operazione culturale di così alto livello. Io ho avuto l’immenso onore d’aver partecipato alla edizione del 2008 dell’Epidaurus Festival,  avendo avuto così la possibilità di vedere da vicino e vivere direttamente questa sensazione, che ha suscitato in me grande emozione e mi ha arricchito sia come uomo che come poeta. Tutto si svolge in un panorama meraviglioso, consono all’Arte, nel suggestivo versante Croato dell’Adriatico, tra i monti e il mare, ove s’adagia il piccolo paese di Cavtat, a pochissimi chilometri da Dubrovnik.
Ha la conformazione d’una conchiglia marina, si riflette in un mare di lucente azzurro che, per sua naturale disposizione, pare diventi un lago. Alla luce del giorno, il mare vive tranquillo protetto nella sua stretta insenatura, la notte è un gioco di luci riflesse con la chiarezza delle stelle. Ho considerato che in realtà non tutto quello che appare distante o inarrivabile lo è davvero, giacché nella misteriosa sfera, infinita e indefinita, dell’universo tutto è vicino.
L’universo e l’universalità s’incontrano nei luoghi ove l’uomo sublima se stesso elevandosi nell’oasi dell’Arte: qui, a Cavtat, tanti artisti, musicisti, cantanti lirici, scrittori e poeti, di origine e lingue diverse s’incontrano, si confrontano e s’ascoltano. E questo si compie  nel mondo, proprio in quel giusto momento che l’Arte, in tutte le sue forme espressive, diviene universale e si consegna all’umanità quale supremo segno di consapevolezza che tutti possano essere davvero più vicini, più uniti, donne e uomini rappacificati in un mondo dove purtroppo proprio le sue bellezze vengono così spesso violate e distrutte.
L’Epidaurus Festival è un grande avvenimento, lodevole e pregevole, che riconcilia, mediante la sublimazione dell’Arte, tutte le culture del mondo, in una eccelsa fusione di tutta l’umanità.

Scrive: Antonio Ragone, scrittore e poeta, 15. agosto, 2011.
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