19 dicembre 2013

ALFONSO GATTO, NATALE AL CAFFÈ FLORIAN.



NATALE AL CAFFÈ FLORIAN

La nebbia rosa
e l'aria dei freddi vapori
arrugginiti con la sera,
il fischio del battello che sparve
nel largo delle campane.
Un triste davanzale,
Venezia che abbruna le rose
sul grande canale.

Cadute le stelle, cadute le rose
nel vento che porta il Natale.
 

Alfonso Gatto
(da “Il capo sulla neve”, 1949)
 

Trovarsi nella notte di Natale in un caffè, il famoso caffè Florian di Venezia che si affaccia su Piazza san Marco, dev’essere per il poeta, lontano dalla sua città, un’occasione per meglio leggersi dentro e smarrirsi nei meandri del rimpianto. Nessun accenno al lusso del locale allestito a festa o alla bellezza della laguna veneziana. Anzi, qui, tutto il contorno si fa piccola cosa per dar spazio alla riflessione. I vapori sono arrugginiti nel freddo della sera e il battello sparisce, tutto si dissolve nella brumosa nebbia della sera e perfino si fa triste il davanzale. C’è posto solo per l’anima di Alfonso, che penserà? Alla vita che sfugge, alle cose smarrite e mai più ritrovate, alla nostalgia dell’atmosfera natalizia della sua casa lontana? È emozionante, ci si commuove di fronte ad una descrizione poetica così lucida e così amara, e così bella! Solo i grandi poeti possono arrivare a simili altezze.

16 dicembre 2013

ZIETTA LIÙ, POESIE DI NATALE.

Zietta Liù, ricordiamo le sue poesie studiate sui libri delle scuole elementari. Poesie semplici, ma che hanno il fascino delle piccole, e proprio perché piccole, grandi emozioni, conservando intatto l’incanto della suggestività. È la tradizione che stiamo dimenticando…
 
Il vero nome di Zietta Liù era Lea Maggiulli Bartorelli, nacque a Pisa il 3 ottobre 1900 e morì a Napoli il 16 marzo1987. Insegnante e giornalista, collaborò a lungo con il Corriere di Napoli, col Corriere dei Piccoli ed il Giornale della Scuola. Nella scuola portò fra i ragazzi l'entusiasmo e  l'amore per la poesia. È stata autrice di poesie, racconti e spettacoli teatrali.

Da “Luci d’Artista” Salerno 2013-2014

ECCO DICEMBRE

Ecco dicembre, vien bel bello.
È vero, porta ventaccio e neve,
ma quanti doni sotto il mantello!

Sì, raffreddori, qualche malanno;
ma ci riporta tanta dolcezza
con la più cara festa dell’anno.

Ed ogni bimbo, pel suo presepe,
già si prepara stelle e pastori,
casette bianche, bianca la siepe.

E già si sente, nel cuoricino
più buono, forse, perché, tra poco,
nasce a Betlemme Gesù bambino.


NATALE

Che neve, che sera!
Ma a un tratto comparve una stella
ed ecco: sembrò primavera.
La siepe che dianzi era brulla
fiorì d'improvviso. S'udiva
leggero un pio ritmo di culla,
e un palpito d'ali d'argento,
un dolce tinnir di campane
portato giù a valle dal vento.
E vivo splendeva laggiù
nell'umile grotta, a Betlemme,
un fiore divino: Gesù.

Zietta Liù

15 dicembre 2013

UNA RIFLESSIONE POETICA DI AGNESE DI VENANZIO.



Roma, 14 – 12 – 2013, sabato

Caro Antonio, due righe per farti i miei più infiniti auguri di Natale (festa della Famiglia, scrissi in una poesia).
Se non ci fosse la forza della fede, tutto sarebbe vano, anche il dolore, i lutti dei tanti vuoti e abbandoni, ferite che non si cancelleranno mai, ma utili per divenire migliori.
Il mondo é sempre lo stesso, credo siamo noi, con gli anni che ci illuminano, a vedere le cose in modo più saggio, e prendere la vita in parte, anche con gioia.
Guardare avanti, con la speranza nel cuore, anche se ci sono momenti di debolezza.
È lì che ti viene il bisogno di trasferire tutto su un foglio di carta, scrivendo quello che gli altri non vogliono sentire.
Ti allego l'ultimo mio scritto appunto (come noterai già a settembre... sentivo che anche questo Natale sarebbe stato per tanti… povero di sentimenti.
Un forte abbraccio con il cuore pieno di profondo rispetto e gratitudine.
Agnese


La famiglia distrutta

Quanta miseria!...
nelle nostre famiglie
abbiamo tutto, non ci manca niente
eppur siamo, povera gente,
non v’è rumor di voci
mancano abbracci e baci,
il rientro stanco di un padre
con la sua autorevolezza,
con la sua destrezza
a tener la disciplina
e la madre, che il capo reclina
al cucito o sferruzzar la lana
esperienza lontana
di un mondo perso
quando tutto andava
nel suo verso,
il calore di un camino
di chi ti era vicino
la famiglia era unita
serena era la vita;

Case vuote,  o affollate  in disarmonia
doppie mogli o mariti,
figli sparsi per la via!...
oggi la chiamano… famiglia allargata!...
mentre da miseria essa è devastata.


© Agnese Di Venanzio
Roma,  26 - 09 – 2013, giovedì.


 Difficile a volte gestire i cattivi pensieri  che caratterizzano  il risveglio non programmato !... l’inconscio è sempre operante mentre si dorme e incalza a volte interrompendo  appunto il sacro sonno. La domenica !... anche per me… è un giorno di “ resurrezione “… in quanto la vivo nella spiritualità,  programmando la purificazione dell’anima mia e si acquieta il  cuore ormai stanco!... ma non indurito. Rifocillare l’anima è  persino meglio che passeggiare in un parco verde.

Forse quei cattivi pensieri che si affrettano e s’impadroniscono della mia mente giungono… perché lo spiritello buono che conosce il dolore più profondo che assilla, mi detta da scrivere come per aiutarmi ad esorcizzare quel dolore.
Scrivere sul dolore che assorbi vivendo, sui rimpianti, le scelte errate irreparabili!....
Si liberarsi scrivendo il dettato dell’angelo della carità .
Ed io !... ho obbedito.  
(Roma, 29 - 09 – 2013, domenica)

4 dicembre 2013

ALFONSO GATTO, DA "LA SPOSA BAMBINA".

Ricordo l’aria di quella sera. Era ormai una delle ultime sere all’aperto. Mia madre aveva freddo per i suoi pensieri e non aveva altro da dire ai figli; indicava loro, con le loro piccole mani, le stelle e ne diceva il nome. Le eravamo raccolti intorno. «È stata sempre così – ci diceva il nonno – si incanta per nulla, sogna come voi ad occhi aperti». 
Come il veliero continuamente rompeva le acque e s’allargava al mare.

Alfonso Gatto
(da “La sposa bambina” - I edizione Vallecchi, 1943 Firenze)

1 dicembre 2013

DICEMBRE, PENSIERO PER LA PERDUTA MADRE.

Io ero lontano e tu eri ancora viva, ti immaginavo seduta sulla poltrona accanto alla finestra, e mi dicevo 
“se da lontano ella mi pensa io sono vivo per lei” 
e questo mi sorreggeva, mi acquietava, mi dava forza, non mi faceva sentire solo in un mondo incomprensibile.
Ma da quando tu sei morta e non puoi più pensare a me, io sento di non esser più vivo per te.
Così spesso mi chiedo 

“chi di noi due è vivo, chi di noi due è morto?”.
Com’è sottile, indistinto, il confine che separa la vita dalla morte.


Antonio Ragone

24 novembre 2013

AD OGNI NUOVA ALBA VADO SUL MOLO DEL PORTO...

Dipinto del M° Pietro De Seta 
Ad ogni nuova alba vado sul molo del porto, i pescherecci ritornano dalla notturna pesca, accompagnati dal volo dei gabbiani in cerca di cibo per la sopravvivenza. Così io mi sento, vedo il mio viso in quei pescatori e mi sento gabbiano irrequieto. Il profumo del sale mi fa bene perché il mare è la mia vita. E mentre il sole s’alza come rosata luce, io spero così tanto in un giorno quieto.

15 novembre 2013

ALFONSO GATTO, PENSANDO A MIA MADRE.



La mamma era a Salerno, il Poeta era a Milano...
parole stupende, versi sublimi.


PENSANDO A MIA MADRE

Verrai quassù, ti porterò per mano
per una dolce tregua, in un inverno
che non conosci, ti dirò: « Milano
s'illumina di sera, nell'interno


delle sue case ha il vigile tepore
dove si parla piano ». Tu sorridi
da sempre in questo timido favore
d'avere intorno il tremolío dei nidi.

Alfonso Gatto

8 novembre 2013

NON È POESIA.




Niccolò dell'arca, Compianto sul Cristo morto, Chiesa di S. Maria della Vita, Bologna


NON È POESIA

C’è solo l’esilio.
Ora che i cuori si sono desertificati,
induriti per assenza di acqua sincera,
sono le umiliazione e le offese,
le assenze dei sentimenti,
l’indifferenza.

Ora,
ora è tempo di intonare nuovi canti 
riconducibili ad una nuova era,
non rinnovata,
ma rigenerata limpida e pulita
da nuova acqua di sorgente pura.

No, questa non è una poesia,
è solo utopia da irrefrenabile strazio.

Antonio Ragone

5 novembre 2013

E NON CHIEDERE NULLA, DI DAVID MARIA TUROLDO.

La terra che un giorno abbiamo vissuto non c’è più. Viviamo giorni malati, inquinati, i fanciulli non si meravigliano più di niente, anche le ragazze la sera hanno gli occhi tristi, l’amore di quei tempi più non c’è, pare financo che le speranze siano diventate mute. Ognuno è solo in una folla anonima. Allora meglio ritornare al tempo antico se questo nostro tempo che chiamano progresso s’è involuto nell’effimero e nell’apparenza. Ritorniamo a spezzare insieme lo stesso pane e a condividere lo stesso vino, desinando tutti alla stessa tavola. Così, semplicemente, umilmente, forse potremo ritrovarci uscendo dalla smarrimento.


E NON CHIEDERE NULLA

Ora invece la terra
si fa sempre più orrenda:

il tempo è malato
i fanciulli non giocano più
le ragazze non hanno
più occhi
che splendono a sera.

E anche gli amori
non si cantano più,
le speranze non hanno più voce,
i morti doppiamente morti
al freddo di queste liturgie:

ognuno torna alla sua casa
sempre più solo.

Tempo è di tornare poveri
per ritrovare il sapore del pane,
per reggere alla luce del sole
per varcare sereni la notte
e cantare la sete della cerva.
E la gente, l'umile gente
abbia ancora chi l'ascolta,
e trovino udienza le preghiere.

E non chiedere nulla.


David Maria Turoldo

(da "O sensi miei..." - Poesie, 1948-1988, edito da Biblioteca Universale Rizzoli BUR – 1994)



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2 novembre 2013

IN MEMORIA...



IN MEMORIA

Ai morti è dato di andar via, 
e di tornare,  
invisibili e muti.

A noi, vivi,
nulla è concesso, 
se non l’attesa, 
lieve, breve.

Copyright© Antonio Ragone 

27 ottobre 2013

CAMMINANDO RIFLETTENDO…



Ci son cose che possono aprirci un mondo pieno di luci scintillanti e accese di domande sempre aperte che finalmente almeno un poco ci rischiarano il cammino sempre incerto e misterioso dell’esistere. Ricostruire i sogni non è altro che trovarci di fronte ad una realtà compiuta dopo una lunga attesa. Ed è conquista di segreti che aprono nuovi orizzonti alla vita, forse finalmente il disordine può riordinare il caos che ci circonda e alfine metterci di fronte a verità sempre cercate e mai trovate. Sono la tenacia del poeta, l’essenza della poesia, lo sconvolgimento della realtà che si credevano consolidate, ma in effetti sono sempre in movimento, sempre in attesa d’una definitiva soluzione.

18 ottobre 2013

SAN MARTINO DEL CARSO, DI GIUSEPPE UNGARETTI.



SAN MARTINO DEL CARSO

Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro

Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto

Ma nel cuore
nessuna croce manca

È il mio cuore
il paese più straziato

(Giuseppe Ungaretti)
È un paesaggio di guerra, un brandello di muro che richiama i brandelli dell’uomo. Sono le case che sanguinano insieme ai loro abitanti. Non si vive più da nessuna parte, la solitudine si fa spazio ed emerge nell'assenza totale dei contatti umani. È il cuore del poeta che salva il mondo, più sofferente della sofferenza esteriore, perché nel mio cuore nessuna croce manca. Il cuore è il paese più distrutto dalla guerra. Sono il dolore e la tristezza a costruire un Paese nuovo proprio nel momento più amaro della solitudine e dell’abbandono. È il luogo più sublime dell'uomo, il centro supremo, nel cuore del cuore, dove l'uomo si fa Uomo.

L’immagine di un paese distrutto dalla guerra, San Martino del Carso, è per il poeta l’equivalente delle distruzioni che sono celate nel suo e mio cuore. San Martino è un paese straziato, più straziato è il cuore del poeta. Così, eliminando ogni descrizione e ogni effusione sentimentale, Ungaretti riesce a rendere con il minimo di parole la sua pena e quella di tutto un paese, e dà vita ad una poetica tutta nuova che inciderà fortemente e inevitabilmente sull’intera poesia del novecento italiano e su quella attuale.

12 ottobre 2013

MENTRE DI NOTTE PIOVE...



Fradicio di pioggia
Mi tengo stretto
A questa luce fioca
D’un lampione poco illuminato
 
Che pure disegna
Stelle limpide d’acqua
Nella notte buia

© 2013 Antonio Ragone - inedita

1 ottobre 2013

“UN’ALBA” DI ALFONSO GATTO.

SALERNO

UN’ALBA

Com'è spoglia la luna, è quasi l'alba.
Si staccano i convogli, nella piazza
bruna di terra il verde dei giardini
trema d'autunno nei cancelli.
È l'ora fioca in cui s'incide al freddo
la tua città deserta, appena un trotto
remoto di cavallo, l'attacchino
sposta dolce la scala lungo i muri
in un fruscìo di carta. La tua stanza
leggera come il sonno sarà nuova
e in un parato da campagna al sole
roseo d'autunno s'aprirà. La fredda
banchina dei mercati odora d'erba.
La porta verde della chiesa è il mare.

Alfonso Gatto

È trascorsa la notte fitta di pensieri. Ora è quasi l’alba, la luna si sta spogliando del buio. L'alba tratteggia la chiara bellezza della “nostra” città che si risveglia; e lo fa senza rumore, in un’attenuata atmosfera appena brulicante di vita. Che splendide immagini! I treni della stazione, le palme nei giardini che sembrano rabbrividire al primo autunno, il trotto di un cavallo sulla strada di terra battuta, l’attacchino di manifesti che sposta “dolcemente” la scala lungo i muri in solitaria armonia con l’universo. La porta della chiesa ha il colore verde del mare che s’apre alla trascendenza, al misterioso significato della vita.
(antonio ragone)

2 settembre 2013

RIELABORAZIONE DE “IL CORVO” DI EDGAR ALLAN POE.

Breve esistenza infelice, quella di Edgar Allan Poe, letterato statunitense nato a Boston nel 1809 e morto a Baltimora nel 1847, due giorni dopo che venne trovato agonizzante davanti ad una taverna,  per un attacco di delirium tremens, causato da eccessi alcolici. La sua produzione letteraria analizza la sua convinzione che non esiste la vita sola in sé stessa, bensì esiste, in un tutt’uno, il binomio vita-morte. In questo contesto riesce a carpire presenze e situazioni sinistre, sgomento e angoscia, diffusa tenebra attraversata con allucinata impassibilità. Famosi i suoi Racconti del terrore e le sue Poesie, dove l’incoscienza dell’ignoto si fa metafora del mistero attraverso la simbologia di sudari ondeggianti e bizzarre apparizioni che possono essere i fantasmi che tormentano l’essenza umana. Il poema Il Corvo saccheggia il cuore e l’anima di Poe in un geometrico progetto dove convive la tenebra con l’angoscia. 

Anni fa ho voluto cimentarmi nella traduzione, o meglio, rielaborazione di questo poema. Non ho l’ho rielaborato per intero, anche per questioni tecniche, come la lunghezza, ma perché ho ritenuto fermarmi laddove m’è parso aver raggiunto il mio scopo, avvicinarmi al mare, e così tralasciare la parte finale del testo, aggiungendovi una mia personale strofa.


IL CORVO

Mezzanotte cupa, io, debole e stanco, mentre medito
su voluminosi libri d'una remota conoscenza,
sopraggiunge il sonno reclinando il capo,
allora, improvviso e leggero,
un lieve tocco alla mia porta sento.
«Qualcuno forse c'è» dissi fra me «che alla mia porta bussa.
Questo soltanto o nulla più?»
Ah, chiaro è  il ricordo di quel Dicembre grigio;
e dal morente tizzo percepivo al suolo i suoi fantasmi.
Desideravo l'impaziente giorno, ai miei libri invano imploravo
conforto per il tormento della Leonore perduta,
per la fanciulla rara e raggiante che gli angeli chiamano Leonore,
che, ormai, per sempre, qui, nessuno chiamerà.

E  m'inorridiva il serico, triste, incerto mormorio delle sanguigne tende,
carico coi fantastici terrori miei dapprima sconosciuti,
benché al mio cuore inquieto ripetessi:
«Qualcuno, forse, implora ingresso alla mia porta,
qualcuno, in ritardo, forse, implora ingresso alla mia porta,
questo è; e nulla più».
Il coraggio cercai più forte; e non più esitai,
«Signore»dissi, «o Signora,  il vostro perdono veramente imploro;
ma il vostro tocco è così lieve e così inquieto è il sonno,
così leggera mano alla mia porta,
che ho dubitato d’aver davvero udito» - qui spalancai la porta:
C'era l'oscurità e nulla più.

Profondo in quella oscurità a lungo le tenebre fissai, attonito, timoroso,
dubitando, sognando sogni che nessun mortale ha mai osato prima.
Ma restò inviolato il silenzio, il tormentato silenzio.
E allora fu solo la mia voce, trepida, a bisbigliare «Leonore!»
e l'inquietante eco mormorò «Leonore !»
Soltanto questo e nulla più.

Ritornai alla mia camera con l'anima straziante.
Ma presto, ancora, udii bussar più forte alla mia porta.
«Certamente» dissi, «Certamente, qualcosa c'è alla mia finestra;
voglio il buio vedere e il mistero esplorare,
il turbato mio cuore calmare, e il mistero esplorare.
Ma c’è solo il vento e nulla più».

Or d'improvviso spalancai l'imposte, quando, le ali agitando,
entrò solenne un Corvo imperiale dei santi e remoti giorni,
che non l'inchino fece, o solo un attimo si fermò;
ma, con l'aspetto di cavaliere o dama, si depose sulla mia porta,
su un busto di Pallade sulla mia porta si depose,
là si sedette, e nulla più.

Allora quest'uccello d'ebano, per l'austera espressione decorosa e grave,
al sorriso ingannò la mia tristezza,
«Tu,  sebbene glabra sia la tua cresta»
dissi, «un codardo certo non sei,
orribile, arcigno ed antico Corvo, che vagabondi sulle Notturne spiagge,
aprimi al mistero del tuo nome che porti sulle spiagge
delle plutonie Notti!».
Disse l'imperiale Corvo: «Mai più».

O meraviglia per questo uccello sgraziato dissertare così chiaramente,
sebbene la sua risposta fu di così poca consistenza;
Nessun essere umano certo ha mai visto
un uccello sopra la sua porta
uccello o bestia sul  busto scolpito sopra la sua porta
con un così strano nome: Mai più.

Ma il Corvo, seduto solitario sul placido busto, ha solo detto
quella parola, come se la sua anima fosse solo quella parola.
Null'altro proferì, non agitò le ali.
Fintanto che non bisbigliai: «Altri amici son già volati via, già tanti,
e appena giorno egli mi lascerà, le mie Speranze, anch'esse,
voleranno via».
Allora l'uccello disse: «Mai più».

Quale orrore per me fu quella risposta calma nell’angosciante silenzio,
«Indubbiamente» mi dissi «quel che dice non è che unica sua scorta
carpita a un infelice padrone sull’orlo d’un impietoso Disastro,
inseguito veloce, e più veloce, fin quando melodiosi
non furono i suoi canti,
una melodia funebre i canti malinconici della sua Speranza:
«Mai, mai più».

…………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………

Ma il Corvo, seduto solitario sul placido busto, ha solo detto
quella parola, come se la sua anima fosse solo quella parola.
Desideravo l'impaziente giorno, ai miei libri invano imploravo
conforto per il tormento della Leonore perduta,
per la fanciulla rara e raggiante che gli angeli chiamano Leonore,
che, ormai, per sempre, qui, nessuno chiamerà.


(Di certo il Corvo, burrascosi
oceani ha attraversato,
chiuso in violenti turbini,
per raggiungermi al lontano castello
sopra salmastre rocce).


Rielaborazione di Antonio Ragone
(da Edgar Allan Poe: “The raven and other poems”)
(da “L’isola nascosta” Edizioni Akkuaria  - 2007)

31 agosto 2013

SETTEMBRE!... AUTUNNO PRECOCE, DI AGNESE DI VENANZIO.

Un mio testo del 2000 "Settembre autunno precoce", declamabile possibilmente al tempo di nenia, per descrivere il sole che si prepara a dormire. Quasi una fantasia fanciullesca, ma la poesia cos'é se non un essere anche fanciulli?....
 

Un caro affettuoso abbraccio in attesa che l'autunno ci dipinga i boschi, gli alberi delle città e la natura tutta.
Agnese.



Settembre!... autunno precoce                
(a ritmo di nenia)


Sento precoce
il sole che stanco sbadiglia
un soffio di vento, ozioso bisbiglia,

forse desidera il sonno invernale?...
forse è già stanco? …
forse sta male?...

Ma é più di sei mesi, nel cielo che brilla…
da tempo lui sogna una piccola culla,
di nuvole bianche,
come capelli di nonne stanche;

Sento precoce
il sole che stanco sbadiglia
un soffio di vento ozioso bisbiglia;

Presto è l’autunno
si va a riposare
al caldo fuoco potrai riscaldare!...

© Agnese Di Venanzio
15 – 09 – 2000

24 agosto 2013

COMMENTO ALLA POESIA “IO TI CHIESI” DI HERMANN HESSE.

Kirche Carona di Hermann Hesse Aquarell 30.07.1923
Hermann Hesse nacque a Calw, in Germania il  2  luglio 1877 e morì a Montagnola, in Svizzera, il 9 agosto 1962. 
È stato multiforme artista: scrittore, poeta, pittore. 
Ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura nel 1946. 
Vastissima è la sua produzione, in versi e in prosa. 
Questa poesia è tratta dalla raccolta Poesie Romantiche del 1920.






Tra la mia pittura e la mia poesia non c'è discrepanza, cerco sempre la verità poetica.             (Hermann Hesse - 1920)


Nella semplicità dei gesti più comuni sono racchiuse le meraviglie che ancora possono far sussultare il cuore. No, che gli uomini non cerchino sofisticate vie, effimere e apparenti bellezze, perché lì altro non possono trovarci che sterilità e aridità. Sono le cose più vicine a noi che purtroppo sono diventate le più lontane. Riappropriamoci di esse, sono dentro di noi, nel profondo di noi. Come mi giunge attuale questa breve e intensa lirica di Hesse. Protagonista è un gesto semplice, lo sguardo, che apre il mondo infinito e indefinito dell’amore, fino a diventarne complesso, come in effetti ampio e misterioso è il sentimento dell’Amore. È nella complessità che ritroviamo la semplicità e quindi qualche varco che ci sveli una meraviglia senza che sia necessario proferire stupide e banali parole. È “solo” lo sguardo. Stupendo l’incipit “Io ti chiesi”: inizia così un  dialogo chissà già da quanto tempo maturato nell’animo del poeta per esprimere la triste bellezza d’uno sguardo amante.

(Antonio Ragone) 

IO TI CHIESI

Io ti chiesi perché i tuoi occhi
si soffermano nei miei
come una casta stella del cielo
in un oscuro flutto.

Mi hai guardato a lungo
come si saggia un bimbo con lo sguardo,
mi hai detto poi, con gentilezza:
ti voglio bene, perché sei tanto triste.

Hermann Hesse 

(da Poesie Romantiche, 1920)

(Traduzione di Brunamaria Dal Lago Veneri)

22 agosto 2013

AGNESE DI VENANZIO, COME UNA NINFEA.






Come una ninfea



Tu figlia mia,

come fiore d’acqua

acqua, segno di fecondità

che apri la tua corolla

e ti lasci cullare

baciata dal sole

nell’andare della vita!...

Non chiudere la tua corolla

Alla “ Parola “

che Dio ti sussurra.


8 agosto 2013

LUNA D’AUTUNNO, DI FÁTIMA ROCÍO PERALTA GARCÍA.

I Edizione Gennaio 2013


PREFAZIONE



LUNA D’AUTUNNO



(raccolta di poesie di Fátima Rocío Peralta García)



di Antonio Ragone

Già fin dal titolo “Luna d’autunno”, s’intuisce l’atmosfera che si respira tra i versi della giovane poetessa peruviana Fátima Rocío Peralta García.
La luna, lì sospesa proprio in mezzo all’universo del mistero umano, sempre così tanto amata e cantata dai poeti, e da questi sempre vista come interlocutrice privilegiata, rappresenta la meta agognata e mai raggiunta, il desiderio più alto e più lontano ove trovare risposte alle tante domande disattese, e allo stesso tempo è rifugio delle inquietudini dell’animo umano. Bisogna alzar lo sguardo verso l’alto per mirar la luna, e già questo è segno d’una affannosa ricerca di sublimazione d’una realtà terrena nei cui meandri il pensiero si smarrisce e s’inquieta.
L’autunno è la stagione che segue alle follie dell’estate, può essere un momento di pausa per la riflessione (continua a leggere…)


“Sul lago della luna d’autunno

al tramonto dell’alba”




Boschi di silenzio

Si fonde la mia voce
tra immagini e suoni,
quale mito immortale
sulla linea melodica del bel canto.

O solitudine mia!
Si scopre sul palco del vento.

Illusioni
nella distanza del tempo
attraversano
boschi di silenzio.


Pelle di rosa

Profumo di un sospiro
al passo di un cammino,
pelle di rosa
frammento di un amore.

Preghiera di rugiada
spina di un addio,
nell’esilio della notte
portata dal vento.


Lacrima

Mirra d’argento
riposa sul mio velo,
affresco di Nardo
diletto.


Diluvio

Sul bilico dell’alito
al di là della verità,
labirinto nudo
senza dignità.

Lacrime del cielo 
alleanza nuova.

Ramo d’olivo
sulle morte foglie.
                       
Ferma il respiro.                     


Esodo

Forestiero
nelle acque del Nilo
stella deserta
nel frastuono del mondo.

Pagine di fuoco
manna del deserto
acque e palme
vigna d’incenso.

Fátima Rocío Peralta García
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