“Salut” (titolo originale dell’opera) può rappresentare un brindisi declamato in versi, alzando un bicchiere come in un banchetto letterario. Il simbolismo francese, di cui Stéphane Mallarmé (Parigi, 1842 – Valvins, 1898) fu uno dei massimi rappresentanti, necessita quindi di una decodifica dei codici interni racchiusi in ogni verso, in ogni scena. La metafora, quella principale, del banchetto poetico, d’un brindisi in piedi insieme a diversi amici (poeti e letterati), elevato su una nave in un mare in tempesta che si riallaccia alla metafora della navigazione, del viaggio, la “schiuma” indica la leggera schiumosità del vino, il “fragore” costruisce le immagini delle sirene che si inabissano a capo riverso, sollevando schizzi, la “poppa” il posto d’onore del convito, l’ “oscillazione” è l’entusiasmo dell’ebbrezza alcoolica. Quindi questa poesia va decodificata come metafora della navigazione. Salut non è più l’augurio d'un brindisi ma rappresenta la salvezza dalle tempeste marine, dove il candore schiumoso che la chiglia produce nell’acqua solcandola lascia il segno di un passaggio, una traccia che rimane indietro causando l’effetto bianco della scia marina.
ALLA SALUTE!
Nulla è questa schiuma se non qual vergine verso a mostrar questo triste boccale; a tal guisa, lontano, sul mare fragoroso, di sirene una schiera s’immerge, o si sconvolge.
Navighiamo, oh miei diversi amici, io già fin d’ora sulla poppa e voi sulla fastosa prora che taglia di fulmini e d’inverni il fiotto.
Un’affascinante ebbrezza e oscura mi preme senza ch’io tema il suo ondeggiare elevando ardito questo brindisi.
Solitudine, scoglio, stella, a ciò che forse valse la bianca inquietudine del nostro veliero.
“Nel cammino della sua rappresentazione spirituale, Antonio Ragone costruisce la sua poesia sicuro e fiducioso. Giungiamo, quindi, nella sua fede di genuino poeta, a capire il difettoso bivio delle ansie e dei sogni in cui egli fa muovere gli stessi ideali che danno energia alla sua vita. E nelle tenui sfumature del suo mondo interiore prendono forme ed essenze, lentamente, cose, persone del mondo, come in un’alba nascente delle corti notti d’estate, con l’orgoglio di saper soffocare il dubbio di non aver saputo interpretare il vero volto della vita”. (Federico Gabrieli)
SCOPRIRE UN ISTANTE
Scoprire un istante che ci sveli
la parola d’ordine nascente,
la proposta incantata dei tuoi sensi.
Abbeverarci all’argine della sorgiva pura,
con la luna che bianca ci regala
la sua faccia riflessa nella sete.
Il sogno dove cade è da sapere,
questo mutar del cuore,
il filamento che non regge.
Antonio Ragone
Da "Viaggi verso il porto" Gabrieli International Editor 2004
Sergio Corazzini, nato a Roma il 6 febbraio 1886 e qui morto, poco più che ventenne, il 17 giugno 1907. Corazzini esprime il suo smarrimento sentimentale in una tenue poesia elegiaca venata da un ironico compianto sulla propria condizione di “piccolo fanciullo che piange”. Pur nel breve spazio temporale della sua esistenza, la sua poesia venne subito collocata nel gusto della poesia crepuscolare, termine coniato dal critico letterario Giuseppe Antonio Borgese, che utilizzò la metafora del crepuscolo per indicare una situazione di malinconia unita ad una sofferta stanchezza. Il termine ”crepuscolare” cominciò così ad essere usato per delineare quei poeti che si trovavano concordi nelle scende tematiche d’una poesia sommessa e dal timbro melodico talora intenso e originale, che ebbero tuttavia il merito di opporsi all’estetismo dannunziano, aprendo le porte ad una nuova esperienza poetica negli anni del primo novecento letterario italiano.
Di Sergio Corazzini propongo la lirica “La finestra aperta sul mare
Il poeta immagina una finestra di una torre in mezzo al mare, circondata da nidi di rondini. La mancanza di luce della finestra si contrappone al chiarore dell’alba. Le sale della torre il poeta le descrive desolate, dove solo qualche gufo triste rompe la solitudine de posto. La pioggia del cielo sembra quasi un pianto in simbiosi al canto del mare che racconta lontani naufragi. Ma un giorno anche le rondini emigrarono abbandonando la finestra e i loro nidi caddero nel mare. Allora, scossa da un turbamento, la torre si incrina e lentamente s’inabissa nel mare, così come la giovane vita del poeta che si dona rassegnata alla marina misteriosa vastità.
La finestra aperta sul mare
Non rammento. Io la vidi
aperta sul mare,
come un occhio a guardare,
coronata di nidi.
Ma non so né dove, né quando,
mi apparve; tenebrosa
come il cuore di un usuraio,
canora come l'anima
di un fanciullo. Era
la finestra di una torre in mezzo al mare, desolata
Il piccolo arcipelago delle tre isolette de "Li Galli": Isola del Gallo Lungo, Castelluccio e La Rotonda, di fronte a Positano.
La primavera cede il passo all’estate. Siamo già nella seconda metà di giugno: il grano ha già messo la spiga e ogni notte sembra che un lembo di cielo si stenda sui campi, in un palpitare di stelle, che, piccole e vicine, danzano fra le spighe al canto degli smarriti grilli. La loro luce è color dello smeraldo finché le spighe sono verdi, diventa d’oro e di topazio via via che la spiga matura, e poi, una sera, scompare. Che è stato? È passato il mietitore e ha mietuto il grano. I grilli continuano a cantare, ma l’uomo, se vuol trovare ancora pàlpito di stelle, deve alzare gli occhi e guardare su verso il cielo. Ora il mare accoglie forse insofferente l’estate affollata d’una spiaggia infuocata da bruciare i piedi e si forma una strana simbiosi con gli uomini che sul mare invernale, disordinato e indomabile, hanno lavorato per sopravvivere. In questa mia poesia che vi propongo ho cercato di rappresentare questa stagione come una furia distruggitrice che con la sua luce abbagliante dilata l’orizzonte, impedisce di vedere gli spazi nei loro giusti confini; implacabile, rende la terra arida e nuda con le ondate di calore del suo sole.
INGANNEVOLE ESTATE
Ancora…eccoti, Estate, fiammeggiante, densa
di lusinghe, e d’ingannevoli richiami, nuda.
Ancora, ancora mi ritrovi qui, da quando?
In me sei meno palpabile dell’inverno,
tu non hai l’intimità dei pensieri chiusi
nell’ombra, quando presto si va contro la sera
(oh rifugio e ricovero e tregua, segreto ripostiglio
d’un fiume senza sosta tumultuoso, in piena).
Tu che imbrogli pure le mie carte ancora
da giocare, e col sudore ogni serena armonia
del mio corpo infrangi - dove ogni impossibile
desiderio s’affoga a rincorrere l’inverno -
di te rammento le fumanti giornate della spiaggia,
dove il mare non c’è, non c’è mai stato,
e d’agosto le notti – serbo memoria – passate
al largo, coperto come d’inverno!
Diego Valeri nacque a Piove di Sacco, provincia di Padova, il 25 gennaio 1897 e morì a Romail 27 novembre 1976.
È stato saggista e soprattutto un delicato e musicale poeta che ha rifiutato qualsiasi tipo di collocazione all’interno delle correnti letterarie del suo tempo.
In questa breve ma importante lirica del novecento italiano che vi propongo, egli ritraecon lievi tocchi il pàlpito segreto di una natura che si addormenta. Qualcosa sta per morire: lo sente la foglia, ormai senza più colore sul ramo nudo; lo sa la nuvola leggera che vela l’azzurro del cielo; ne parla il vento che si muove appena come acqua che scorra lenta verso la foce.
Rimanendo nel tema marino mi piace qui collocare la mia traduzione (in questo caso, più esatto dire rielaborazione) della poesia "L'albatros", tratto da "Les fleurs du mal" del poeta simbolista francese Charles Baudelaire. Ho voluto solo rispettare la struttura della poesia, mantenendo la rima alternata presente nell'originale in francese.
Accade talora che i marinai, per gioco, catturino grandi uccelli marini, gli albatri. Ma questi re del cielo, così belli quando distendono le ali smisurate nel libero volo, diventano goffi e timidi appena sono posati sulla tolda della nave. Il poeta somiglia ad essi, perché egli sulla terra si sente quasi in esilio giacché non viene raccolta l'altitudine della sua arte, ovvero della poesia.(vedere anche qui)
L’ALBATRO
Sovente, per vile trastullo, gli uomini d’equipaggio spezzano il libero volo dell’albatro, solenne uccello del Mare, mentre segue, indolente compagno di viaggio, il vascello che naviga sopra le profondità amare.
Ma, ecco, l’hanno soggiogato sulle penose palanche, questo Re dell’azzurro, ora goffo e gli occhi dimessi, che lascia misero le grandi ali bianche trascinare come inservibili remi accanto ad essi.
Questo viaggiatore alato, com’è confuso da se stesso espulso! Così bello innanzi, ora è grottesco e solo! Chi con la pipa stuzzica il becco al pellegrino avulso, chi, zoppicando, mima lo stroncato suo splendido volo.
Il Poeta è questo principe dei Nembi Eterni che vive la tempesta e se la ride dell’arciere; esule sulla terra in mezzo agli scherni, le ali di gigante gli impediscono d’incedere.
(da Charles Baudelaire : “Les fleurs du mal”)
(da "L'isola nascosta" di Antonio Ragone, Ed. Akkuaria 2007)
Vincenzo Cardarelli (il suo vero nome era Nazareno Caldarelli) nacque a Corneto Tarquinia, in provincia di Viterbo, nel 1887 e morì a Roma nel 1959. A Roma si trasferì giovanissimo, appena con la licenza elementare, esercitando all'inizio i più umili mestieri. Fu autodidatta non avendo mai proseguito gli studi. “Io nacqui forestiero in Maremma, di padre marchigiano, e crebbi come un esiliato, assaporando con commozione tristezze e indefinibili nostalgie. Non mi ricordo la mia famiglia, né la casa dove son nato, esposta a mare, nel punto più alto del paese.”
Di Vincenzo Cardarelli vi propongo questa poesia:
GABBIANI
Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io son come loro
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com'essi l'acqua ad acciuffare il cibo.
E come forse anch'essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.
Mi ritrovo spesso a contemplare il mare, osservo il volo dei gabbiani, sembra non sentano mai il bisogno di posarsi e non si sa dove abbiano il nido. Volano verso il cielo, poi si calano a picco tuffandosi contro le acque, ma appena le sfiorano ad afferrare un pesce per sopravvivere, e quindi risalire rapidi verso l’alto, innamorati della grande quiete marina. Nella simbolica immagine dei gabbiani è raffigurato il poeta con la sua perpetua inquietudine interiore, che tende anch’egli a volare verso l’alto in uno slancio di desiderio di quiete, pur consapevole che il suo destino è vivere come il baleno, che dà luce appena un attimo ed è travolto dalla burrasca. (Antonio Ragone)
Pochi giorni fa ho avuto il piacere di fare una visita presso la sede del Circolo Culturale Salotto d’Arte “L’incontro” in via Valle del Formale 27 a Zagarolo (RM) durante una lezione di letteratura tenuta dal professor Antonio Fiorito ai maturandi, che riguardava Baudelaire e Pascoli. L’ottima e meritoria iniziativa è stata organizzata dal già citato Circolo culturale Salotto d’Arte “L’incontro” e l’Associazione “Libertà va cercando”, in vista dell’esame di Stato, attraverso un ciclo di incontri di approfondimento dello studio della letteratura italiana e di esercitazioni all’analisi testuale. La partecipazione agli incontri, tutti tenuti da docenti di ruolo, è completamente gratuita.
È qui il caso di citare le parole dell’astrofisico Marco Bersanelli: “Cogliere il senso delle cose vuol dire entrare in un rapporto vero con ciò che ci sta intorno: allora la matematica o la fisica o la letteratura sono come strade che ci sono offerte da tutti quelli che sono venuti prima di noi per entrare in un rapporto vero e sano con questa cosa incredibile che è la realtà. Questo è un bene”.
Grazie al professor Antonio Fiorito, che come i miei lettori sanno, ha curato le prefazioni dei miei libri, e un caloroso “in bocca al lupo” a queste ragazze e ragazzi, che partecipando a questi incontri hanno dimostrato di possedere, oltre che interesse per lo studio e la letteratura, un accurato senso di responsabilità.