“È nella stessa paura di non poter capire e nella stessa esigenza di conforto, dove si svolge il dramma teologico del poeta e dell’uomo Giorgio Caproni, che affida la propria inquietudine, scaturita da una ricerca, da una caccia a Dio, che egli vuole scorgere con tutta la sua passione come un volto caro, ad un intenso grido di preghiera: “Ah, mio dio. Mio Dio. Perché non esisti?”.” (Antonio Ragone, da “La Passione degli Apostoli” - Akkuaria 2008).
(La Moglia è una delle zone montane dell'Alta Val Trebbia, delineata dall’itinerario del fiume Trebbia, dalla Liguria alla Emilia-Romagna, dove affluisce nella parte destra del Po).
Chi sia stato il primo, non
è certo. Lo seguì un secondo. Un terzo.
Poi, uno dopo l’altro, tutti
han preso la stessa via.
Ora non c’è più nessuno.
La mia
casa è la sola
abitata.
Son vecchio.
Che cosa mi trattengo a fare,
quassù, dove tra breve forse
nemmeno ci sarò più io
a farmi compagnia?
Meglio – lo so – è ch’io vada
prima che me ne vada anch’io.
Eppure, non mi risolvo. Resto.
Mi lega l’erba. Il bosco.
Il fiume. Anche se il fiume è appena
un rumore ed un fresco
dietro le foglie.
La sera
siedo su questo sasso, e aspetto.
Aspetto non so che cosa, ma aspetto.
Il sonno. La morte direi, se anch’essa
– da un pezzo – già non se ne fosse andata
da questi luoghi.
Aspetto
E ascolto.
(L’acqua,
da quanti milioni d’anni, l’acqua,
ha questo suono
sulle sue pietre?)
Mi sento
perso nel tempo.
Fuori
dal tempo, forse.
Ma sono
con me stesso. Non voglio
lasciar me stesso – uscire
da me stesso come,
la notte, dal sotterraneo
il grillotalpa in cerca
d’altro buio.
Il trifoglio
della città è troppo
fitto. Io son già cieco.
Ma qui vedo. Parlo.
Qui dialogo. Io
qui mi rispondo e ho il mio
interlocutore. Non voglio
murarlo nel silenzio sordo
d’un frastuono senz’ombra
d’anima. Di parole
senza più anima.
Certo
(è il vento degli anni ch’entra
nella mente e ne turba
le foglie) a volte
il cuore mi balza in gola se penso
a quant’ho perso. A tutta
la gaia consorteria
di ieri. Agli abbracci. Gli schiaffi.
Alle matte risate,
la sera, all’osteria
dietro alle donne. Alte
da spaccar le vetrate.
Ma non m’arrendo. Ancora
non ho perso me stesso.
Non sono, con me stesso,
ancora solo.
E solo
quando sarò così solo
da non aver più nemmeno
me stesso per compagnia,
allora prenderò anch’io la mia
decisione.
Staccherò
dal muro la lanterna,
un’alba, e dirò addio al vuoto.
A passo a passo
Scenderò nel vallone.
Ma anche allora, in nome
di che, e dove
troverò un senso (che altri,
pare, non han trovato),
lasciato questo mio sasso?