che la montagna ispira più reverenza e appare più chiara al viandante della valle che non all'abitante delle sue pendici ? Agli amici lontani (Antonio Ragone)
Caro Antonio, rovistando nei cassetti del tempo ho ritrovato questa poesia di mio zio Mario Colasante, tuo professore di italiano, di cui abbiamo già parlato nei post precedenti. Spero ti faccia piacere. (Ho evidenziato in rosso, grassetto e corsivo, i versi che poi, i familiari diretti di zio Mario hanno fatto scrivere sulla sua lapide).
Grazie Edo, con vero piacere ricevo questa tua gradita sorpresa, una poesia molto delicata nella sostanza e ben curata nella metrica, come anticipazione del dramma in versi “Gli uomini del fiume” di Mario Colasante, che ho avuto il piacere di avere come mio insegnante e che senz’altro, grazie alla sua passione con la quale illustrava e spiegava la letteratura, in particolare incantava tutti quando spiegava la “Divina Commedia” di Dante, ha rafforzato in me l’interesse e l’amore per la letteratura. Sono andato a rivedere nelle mie vecchie foto: ne ho ritrovata una, certo un po’ sbiadita dal tempo, foto di gruppo della “gloriosa” V/c , dove con piacere e nostalgia ho rivisto le mie compagne e i miei compagni, nonché alcuni prof tra cui c’è lo scrittore Mario Colasante. (Antonio Ragone)
Mentre si snoda la strada è il gomitolo del cuore che comincia a dipanarsi l'alternarsi dei piedi si fonde con un dentro - fuori un oggi - ieri, un io un tu… un io che si guarda allo specchio.
Nel silenzio si sollevano i piedi e i ricordi. Le emozioni di ieri si saldano all'oggi.
Passato e presente diventano cerchio, completezza dell'essere. Non solo come individui: c'è una completezza, una totalità ancora più vasta che si risveglia e si ricompone nel camminare a piedi nella natura. E' lo scoprire il nostro essere vibrare con gli alberi, l'acqua di un torrente, l'azzurro del cielo, le forme di una nuvola. Soli e interi, ma interi perché parte di un tutto. E anche la memoria della nostra cultura, del nostro essere storia/cultura risuona in modo nuovo e diverso: è da dentro che si colgono i significati più profondi delle parole ereditate da chi ci ha preceduto, nella nostra e in altre culture. Da Lucrezio, a Ovidio, ai Celti, agli Indiani d'America, solo per citare a caso…. E cambia il modo di guardare. Le immagini diventano forme, suoni, colori, spazi che fluiscono in noi, come collegati da un cordone energetico. Non è più solo vedere o ascoltare, ma Essere. Sentirsi nella totalità.
Credo che molte volte le nostre idee in merito a qualcosa si definiscano meglio in corso d'opera. Leggendo quindi il post di Edo mi sono sorte queste considerazioni: premesso che la poesia riguarda il nostro mondo interiore, la nostra anima, e quindi il nostro personale cammino, che come tale è personale,quindi unico e irripetibile, possiamo tenere conto, volendo, anche di chi legge, del suo orizzonte. (Nel primo post esprimevo il dubbio del rischio di un'autoreferenzialità della poesia).
E se chi conosce solo 200 parole, si rispecchia e trova godimento in qualcosa scritto in modo semplice, ma chiaro, ed efficace?.... So bene che stiamo scivolando dalla poesia ad altri settori, e il discorso si fa molto complesso... però personalmente resto dell'idea che una comunicazione è fatta di chi parla e di chi ascolta… infiniti mondi infiniti... E' difficile mettere etichette all'anima... (pensiamo alla semplicità e profondità di "ogni uomo sta solo ecc…").
Sono d'accordissimo sul tuo intervento sulla poesia che hai postato sul blog... basta con questa tiritera insulsa sulla "semplicità"... molto spesso ciò che chiamiamo semplicità è solo mancanza di cose da dire mascherata o, peggio, l'esprimere pochi, vuoti concetti senz'anima... ognuno ha il suo mondo interiore, e ciascuno ha pure il proprio, personale "fondo parole", dal quale attingere per esprimere in compiutezza proprio quel suo proprio ineguagliabile mondo interiore... e non è affatto detto che uno che possiede le 200 parole 200, che tutti più o meno conosciamo, debba essere per forza più "profondo " di chi, invece, ha la possibilità meramente lessicale di esprimersi in maniera più variegata, con sfumature, sottigliezze etc... credo che alla fine tutto si riduca ad essere sinceri con se stessi e con i propri lettori: è l'unico vero discrimine. Per il resto, ci saranno sempre poesie "semplici" che non dicono nulla e poesie "complicate" che ti rivelano un mondo... tutto sta, appunto, nella sincerità del poeta. Adesso mi viene in mente un ricordo personale: ricordi, Antonio, quando, un anno fa, in una tarda serata piovosa, parlando sulla banchina del porto di Bari in attesa d’imbarcarci per Dubrovnik, scoprimmo che mio zio Mario Colasante - scrittore e autore, tra l’altro del romanzo “Gli uomini del fiume” - era stato tuo professore d’italiano nel triennio alla scuola superiore che tu frequentavi a Salerno? Com’è piccolo questo mondo e spesso troppo povero di ricordi come questi che ancora fanno rivivere le nostalgie del nostro passato!
“Ed io non voglio più essere io! Non più l'esteta gelido, il sofista,
ma vivere nel tuo borgo natio,
ma vivere alla piccola conquista
mercanteggiando placido, in oblio
come tuo padre, come il farmacista...
Ed io non voglio più essere io!”.
Questa strofa è tratta da “La signorina Felicita ovvero la Felicità” di Guido Gozzano, il quale naturalmente merita un omaggio personale, pertanto questi versi vengono citati solo perché funzionali a questa riflessione. Sono versi che emanano uno stato d’animo di rimpianti e d’amarezze con evidenti riferimenti letterari ma soprattutto umani. E io stamattina riflettevo proprio su questo, sui rimpianti e le amarezze che spesso fanno sovrapporre le emozioni dentro di noi, riflettevo come queste impressioni, anche se turbano, ci fanno capire che si è realmente vissuto, mettendosi in gioco ogni giorno, confrontandosi con i propri sentimenti, le ansie, le inquietudini e, perché no, le soddisfazioni. Solo chi ha preferito portare avanti la sua vita senza viverla, ecco, questo non ha né amarezze e né rimpianti. Nel mio libro “La Passione degli Apostoli” Ed. Akkuaria 2008, oltre a sostenere nell’introduzione che “mi sono molto dedicato alla lettura e allo studio della Bibbia - che io considero il capolavoro letterario di tutti i tempi, e per tale motivo, meritevole d’esser letta da tutti - alla ricerca del supremo senso della sofferenzaumana così presente nelle sue pagine” scrivo altresì che “è in questa vita che c’è bisogno di consolazione umana, basta pur solo una pacca sulla spalla che sia di incoraggiamento nei momenti del bisogno, invece della ipocrita solidarietà che incoerentemente si manifesta puntualmente nel momento della morte proprio da parte di quelle persone che in vita hanno negato anche una sola parola di conforto ed incitamento”. Nel libro vetero- testamentario del profeta Isaia è scritto: “Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste. È vicino chi mi rende giustizia”. Con un sottile raffronto, viene da pensare all’indifferenza di tanta gente che, pur conoscendo una particolare condizione di sofferenza, s’appella, per eventuali mancati interventi, facendoli passare per degne giustificazioni come “lo sapevo, ma non ho fatto nulla per discrezione”. In poesia tanti sono i modi di pensarla e di scriverla, tutti validi – si è già detto nei post precedenti – purché o si è poeti o no, e perché le poesie siano frutto della sincerità intellettuale dell’autore. Non esistono poesie antiche o moderne, poesie semplici o difficili, poesie pessimistiche o ottimistiche, esiste la Poesia, ovvero la parola resa sublime dalla penna del poeta. Certo di poesia non si tratta quando “cuore fa rima con amore e i prati sono in fiore” se queste parole non vengono esaltate da elementi essenziali, come avviene ad esempio nella musica lirica dove versi banali come “Oh mio babbino caro” dell’opera “Gianni Schicchi” emozionano ed esaltano l’animo umano per l’altitudine artistica della musica di Giacomo Puccini. Ciò tuttavia non esclude che la poesia “cuore, amore, fiore” possa sublimarsi, anzi può essere una valore aggiunto se i versi vengono elevati al ruolo di poesia dall’essenziale esperienza culturale e umana maturata dal poeta.
Questa nostra vita ormai da tempo scorre in mezzo al ritmo frenetico d’una fiumana di parole spesso inutili e banali che hanno solo lo scopo di coprire le nostre incertezze e il nostro disagio interiore. Ho sperimentato l'effetto del silenzio su di me, nelle notti estive quando l’afa opprime o nelle notti invernali al fragore d’una pioggia scrosciante sulle piante del giardino. Da anni penso che le piante e i fiori hanno il medesimo aspetto dei nostri progetti, germogliano o periscono quando proprio non siamo preparati. Ho appuntato su piccoli fogli di carta rimediati al volo tutto ciò che mi è venuto in mente: rimpianti, inquietudini, considerazioni sulla vita di tutti i giorni, su questa nostra società tanto evoluta tecnologicamente e tanto umanamente regredita. Queste notti della mia vita mi hanno consentito di apprezzare il silenzio: esso solo ci concede la possibilità di ritagliare immensità per riprendere il cammino verso nuove mete.
VERSO NUOVE METE
Camminammo per verdi colline aspettando ancora il sole che all’aurora illuminasse i passi incerti della notte, per raccogliere ai piedi dei castagni il viola nato tra le gialle foglie.
Ripetemmo l’umano rituale che accomuna ai tuoi gli occhi miei e fiduciosi con la mano in mano scorgemmo di lontano una sorgiva.
Già così sveglio il chiaro era alto filtrava in mezzo ai rami e la sua luce ci colpiva in qualche tratto del sentiero.
Non chiesi: - chi sei? - né per me sul tuo viso lessi la domanda.
Se avevi qualche dubbio d’affidare lo raccoglievo e lo facevo mio, e quello che per te era un tormento a me alimentava il duro viaggio. Se sugli zigomi rossi di fatica tu mi scorgevi qualche viva lacrima dicevi: - asciugala al soffio solatìo. -
E fissi gli occhi oltre l’alberatura proseguimmo la tua storia e la mia col fruscìo dell’erba della volpe in fuga timorosa al nostro calpestìo.
Raccogliemmo tra le spine more.
Il sentiero proseguì oltre quel giorno mentre restava un roseo all'orizzonte che a poco a poco ridivenne scuro; poi dalla tana uscì inquieto lupo mentre la notte ricopriva alberi e noi.
Antonio Ragone(Da "L'isola nascosta" Edizioni Akkuaria 2007)
...Ulisse o la metafora del nostro cammino, del nostro essere, del nostro credere: Kafavis, Saba, Caproni, Antonio...
In questa poesia della Merini ho trovato… la poesia della poesia… la magia della parola, del suo potere evocativo, del suo essere tramite dell'anima... (non per nulla la poesia era ispirata dalle muse).
Non ho bisogno di denaro. Ho bisogno di sentimenti, di parole, di parole scelte sapientemente, di fiori detti pensieri, di rose dette presenze, di sogni che abitino gli alberi, di canzoni che facciano danzare le statue, di stelle che mormorino all' orecchio degli amanti. Ho bisogno di poesia, questa magia che brucia la pesantezza delle parole, che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.