La Giornata Mondiale della Poesia è stata istituita dalla Conferenza Generale dell’UNESCO nel 1999 e celebrata per la prima volta il 21 marzo dell'anno seguente. La data, che segna anche il primo giorno di primavera, riconosce all’espressione della Poesia, la più discreta e profonda delle Arti, un luogo fondante della memoria, base di tutte le altre forme della creatività letteraria ed artistica.
Viene riportata a lato la locandina dell’UNESCO della Giornata Mondiale della Poesia 2010.
(Antonio Ragone)
POESIA
È solo l’attimo fuggente che descrive
in quel momento un po’ d'umana storia,
la meraviglia che raccoglie il frutto
di ciò che nasce in fondo agli elementi.
Antonio Ragone(Da "Viaggi verso il porto - Parte I - Gabrieli International Editor 2004)
Angioletta Faccini mi ha inviato sei poesie che ben volenteiri propongo ai lettori del blog. A ciascuna ella stessa ha posto un breve commento. Io mi limito solo a dire che ci troviamo di fronte a poesie intense e profonde, dense d’una lettura del proprio animo che la poetessa esplicita quasi impietosamente e allo stesso tempo utilizzando i versi con intima sensibilità.
Per una migliore lettura ho ritenuto opportuno collocare le poesie in due post. (Antonio Ragone)
Da tempo oramai, al figlio trapassato che a volte nel sentire la sua presenza, in contrasto con la Morte m'arecava un forte dolore insopportabile dovuto anche alla non accettazione di quella realtà.
Da Tempo oramai
Da tempo ormai cammino
lungo il viale del silenzio
l’affanno a lungo vissuto
per l’eterno mi sarà d’appresso
gravi impressioni
si ergono dal mio profondo
e parlano di dolore
altro dolore al dolore
nel silenzio della mia solitudine
ti parlo e t’abbraccio
nel silenzio della mia solitudine
mi piego su me stessa
ascolto la tua anima
ascolto il mio pianto
e le mie lacrime che scendono
20 gennaio 2005
Vederti, la presenza del figlio che aleggia intorno a me, sempre e per sempre.
Vederti
I pensieri m’affollano la mente
coi ricordi sempre penetranti
mentre una lacrima s’affaccia furtiva
portando con se altre lacrime
pronte a rigare il mio viso
soffocando il respiro.
Il tuo viso appare lieve
e velato di tristezza dinanzi al mio pianto
e pare dirmi qualcosa mentre
la tua aura m’accarezza il capo
la tua anima mi sorregge.
Da oltre la Vita parli al mio cuore.
Nella mia ombra
nel mio spazio
il tuo viso aleggia col sorriso
Anch’io ti sorrido
mentre i ricordi si rincorrono nella mia mente
anch’io ti sorrido
mentre le lacrime scendono pesanti
Il vederti è forse un privilegio?
Deciderà, scritta intorno al 2001, è la bellissima amicizia tra me ed un caro collega, amicizia non approvata e vista sotto altri profili da altri colleghi.
Guido Gozzano nacque a Torino il 19 dicembre 1883 e morì nella stessa città il 9 agosto 1916 all’età di 33 anni.
Insieme a Sergio Corazzini è considerato uno dei massimi rappresentanti della scuola crepuscolare, il cosiddetto “crepuscolarismo”, termine letterario coniato dal critico Giuseppe Antonio Borgese per evidenziare il tono malinconico di questi poeti e l’amore per le piccole cose, che assumono nelle loro liriche un significato raffigurativo della vita, con l’uso di un lessico pieno d’infiniti stilemi letterariamente sentimentali, trasfigurando la realtà in sogno fuori da uno spazio e da un tempo reale.
Celeberrima di Gozzano è la novella in versi “La signorina Felicita ovvero la Felicità” di cui, per motivi di spazio propongo il magnifico incipit:
I
Signorina Felicita, a quest'ora scende la sera nel giardino antico
della tua casa. Nel mio cuore amico scende il ricordo. E ti rivedo ancora, e Ivrea rivedo e la cerulea Dora e quel dolce paese che non dico.
Signorina Felicita, è il tuo giorno! A quest'ora che fai? Tosti il caffè: e il buon aroma si diffonde intorno? O cuci i lini e canti e pensi a me, all'avvocato che non fa ritorno? E l'avvocato è qui: che pensa a te.
E l’avvocato è malato, sia fisicamente, di tisi, che di un’aura malinconico-crepuscolare. Nella speranza di una guarigione, inizia un lungo viaggio in Oriente, un viaggio che poi gli detterà le prose di “Verso la cuna del mondo”.
Di lui vi propongo la lirica "Cocotte", dalla quale emergono i bellissimi versi
… Non amo che le rose
che non colsi. Non amo che le cose
che potevano essere e non sono
state...
COCOTTE
I.
Ho rivisto il giardino, il giardinetto contiguo, le palme del viale,
la cancellata rozza dalla quale mi protese la mano ed il confetto...
II.
"Piccolino, che fai solo soletto?"
"Sto giocando al Diluvio Universale."
Accennai gli stromenti, le bizzarre cose che modellavo nella sabbia,
ed ella si chinò come chi abbia fretta d'un bacio e fretta di ritrarre la bocca, e mi baciò di tra le sbarre come si bacia un uccellino in gabbia.
Sempre ch'io viva rivedrò l'incanto di quel suo volto tra le sbarre quadre!
La nuca mi serrò con mani ladre; ed io stupivo di vedermi accanto al viso, quella bocca tanto, tanto diversa dalla bocca di mia Madre!
"Piccolino, ti piaccio che mi guardi? Sei qui pei bagni? Ed affittate là?" "Sì... vedi la mia mamma e il mio Papà?" Subito mi lasciò, con negli sguardi un vano sogno (ricordai più tardi) un vano sogno di maternità...
"Una cocotte!..." "Che vuol dire, mammina?" "Vuol dire una cattiva signorina: non bisogna parlare alla vicina!" Co-co-tte... La strana voce parigina dava alla mia fantasia bambina un senso buffo d'ovo e di gallina...
Pensavo deità favoleggiate: i naviganti e l'Isole Felici... Co-co-tte... le fate intese a malefici con cibi e con bevande affatturate... Fate saranno, chi sa quali fate, e in chi sa quali tenebrosi offici!
III.
Un giorno - giorni dopo - mi chiamò tra le sbarre fiorite di verbene: "O piccolino, non mi vuoi più bene!..." "È vero che tu sei una cocotte?" Perdutamente rise... E mi baciò con le pupille di tristezza piene.
IV.
Tra le gioie defunte e i disinganni, dopo vent'anni, oggi si ravviva il tuo sorriso... Dove sei, cattiva Signorina? Sei viva? Come inganni (meglio per te non essere più viva!) la discesa terribile degli anni?
Oimé! Da che non giova il tuo belletto e il cosmetico già fa mala prova l'ultimo amante disertò l'alcova... Uno, sol uno: il piccolo folletto che donasti d'un bacio e d'un confetto, dopo vent'anni, oggi ti ritrova
in sogno, e t'ama, in sogno, e dice: T'amo! Da quel mattino dell'infanzia pura forse ho amato te sola, o creatura! Forse ho amato te sola! E ti richiamo! Se leggi questi versi di richiamo ritorna a chi t'aspetta, o creatura!
Vieni! Che importa se non sei più quella che mi baciò quattrenne? Oggi t'agogno, o vestita di tempo! Oggi ho bisogno del tuo passato! Ti rifarò bella come Carlotta, come Graziella, come tutte le donne del mio sogno!
Il mio sogno è nutrito d'abbandono, di rimpianto. Non amo che le rose che non colsi. Non amo che le cose che potevano essere e non sono state... Vedo la case, ecco le rose del bel giardino di vent'anni or sono!
Oltre le sbarre il tuo giardino intatto fra gli eucalipti liguri si spazia... Vieni! T'accoglierà l'anima sazia. Fa ch'io riveda il tuo volto disfatto; ti bacierò; rifiorirà, nell'atto, sulla tua bocca l'ultima tua grazia.
Vieni! Sarà come se a me, per mano, tu riportassi me stesso d'allora. Il bimbo parlerà con la Signora. Risorgeremo dal tempo lontano. Vieni! Sarà come se a te, per mano, io riportassi te, giovine ancora.
Era ancor prima dell’alba che dai vetri della finestra, alla luce che timida illumina il giardino, ho visto alberi pregni di brina, infreddoliti nell’umida notte. Forse un brivido ha attraversato il mio corpo, mi son sentito albero, pianta, cespuglio inumidito dall’acqua dei miei anni. Ho visto nel buio un’onda marina venirmi incontro come ad una spiaggia fredda e solitaria. Ho sentito il suo sciabordio, un lieve fiato di vento che sempre l’accompagna. Uno scarno stuolo di cornacchie è passato senza gracchiare. La luna è oltre i nembi grigi.
L’APPRODO
Anche stanotte il mare ha sussurrato
sospeso alla finestra.
Luna intanto
dipinge aureo mare, mentre una vela
solitaria cerca l’approdo. Presso
la darsena tremano fioche luci,
ecco la meta.
Sopravanza l’alba
che lascia un po’ di mare alla finestra.
Antonio Ragone(Da "Viaggi verso il porto " - Sezione Il Porto 1986-1990 - Gabrieli International Editor 2004)
“Anche Pier Paolo Pasolini non può sottrarsi al confronto con la passione di Gesù, anzi egli, pur avendo scoperto il vangelo quasi per caso durante un soggiorno ad Assisi, nel corso del quale voleva incontrare Papa Giovanni XXIII, ne rimane subito intimamente colpito, cercando di recuperare al suo laicismo i caratteri della religiosità.
D’altra parte, nelle opere di Pasolini, è stata sempre presente la costante d’una “scandalosa sacralità”che perviene dalle giovanili poesie casarsiane, quando, durante il periodo dell’ultima guerra, gli abitanti del paese friulano si riparavano nella locale chiesa per necessità di consolazione e di protezione.
La passione e la morte di Cristo viene traslocata sui personaggi cinematografici, come Accattone, Mamma Roma e la povera comparsa che, durante le riprese di un film, muore sulla croce per indigestione dopo essersi sfamato di ricotta, considerato il cibo della misera gente di borgata.
Forse fu proprio il racconto grottesco del film “La ricotta” che introdusse Pasolini alla realizzazione del film “Vangelo secondo Matteo”, dedicandolo “alla cara, lieta, familiare memoria di Giovanni XXIII”.
Il film, scarno e limpidamente poetico, seguendo il testo sacro passo dopo passo, ambienta la figura del Cristo nel sottosviluppo del mezzogiorno d’Italia, dove il messaggio cristiano assume il carattere d’una rivelazione ai poveri e alla loro sofferenza, senza nulla perdere della intrinseca sacralità evangelica riflessa nelle beatitudini; ed è qui che la complessa e tormentata personalità di Pasolini realizza, a sua insaputa, una denuncia sociale ma dolorosamente cristiana, dove l’inconsapevole assegnazione del ruolo della Madonna alla madre Susanna, che segue, straziante, il figlio condotto al Calvario, assume la prospettiva d’una tragica personale profezia.”
Antonio Ragone (Da “La Passione degli Apostoli” Ed. Akkuaria 2008)
LA PASSIONE (III strofa)
Cristo alla pace del Tuo supplizio nuda rugiada era il Tuo sangue. Sereno poeta, fratello ferito, Tu ci vedevi coi nostri corpi splendidi in nidi di eternità! Poi siamo morti. E a che ci avrebbero brillato i pugni e i neri chiodi, se il Tuo perdono non ci guardava da un giorno eterno di compassione?