In seguito ad una violenta burrasca, provocata da Giunone, Enea e i suoi compagni sono stati sbalzati sulle coste della Libia e generosamente ospitati dalla regina Didone che in quei luoghi stava fondando una nuova città, la futura Cartagine. Per invito di Didone, che conosce per esperienza cosa sia la sventura e l'esilio, Enea narra le dolorose vicende dell'ultima notte di Troia; il fatale e prepotente cavallo di legno, uscito dall'astuta quanto cinica mente di Ulisse è ormai dentro le mura, tutti dormono ignari dell'estrema rovina che pende sul loro capo, ed anche Enea dorme. Ma ad un tratto ecco apparirgli in sogno Ettore, il vero eroe dell'Iliade. Egli è piangente, coperto di sangue e di polvere, con l'aspetto che aveva quando il crudele Achille, forte solo della sua invulnerabilità, lo trascinò via con indegno disprezzo legato alla suo orrida biga. In quel momento s'accresce la grandezza di Ettore, uomo d'amore, e s'annienta per sempre l'immeritato mito di Achille, uomo sprezzante e privo di scrupoli, solo uomo di odio. Nel sogno, Ettore stesso, l'eroe pur così forte e magnanimo, supplica Enea di fuggire, ché nulla ormai si può più fare per la sventurata patria; fugga dunque e rechi con sé le cose sacre, prenda con sé in Penati, gli dèi tutelari della patria, e in un'altra terra al di là del mare fondi una nuova città, cui è riservato un grande futuro. Così Ettore stesso, mentre il fuoco distrugge la sua amata città per mano nemica e vile, predice e consacra l'alta missione di Enea. La regina Didone ascolta commossa il tragico racconto di Enea, se ne innamora intensamente, ed offre ad egli e alla sua gente di restare e formare insieme un solo popolo. Enea acconsente, è stanco di navigare gli inquietanti mari, desidera sollievo al suo inquieto errare nei meandri di se stesso. Ma il mare, attraverso Giove, lo richiama ed egli obbedisce e parte; altre tempeste lo aspettano per affrontarlo, altri naufragi. Ma egli sempre il viaggio riprende per approdare finalmente alla foce del Tevere, ecco la meta.
Allora come sempre.
"La barca solitaria
in mezzo al mare,
cerca riparo in darsena
il fanciullo;
poi, pur nella tempesta
il suo viaggio riprende,
ché il mare il suo colore
ha messo negli occhi suoi".
Antonio Ragone
(Da “Colloquio con la perduta madre” in “L'isola nascosta” - Edizioni Akkuaria 2007)
E tu caro Antonio con le tue belle poesie sul mare ci regali grandi emozioni
RispondiEliminaAntonio, piacere di leggerti! Grazie! Ana
RispondiElimina...tra metafora e realtà!
RispondiEliminaConcordo con Annamaria!
RispondiEliminatra metafora e realtà.....!
Intanto, attraverso te, mi pare di percepire le sensazioni che il mare può regalare!
E il viaggio riprende sempre seppur nella tempesta!
Ringrazio per la visita e i bellissimi commenti.
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